La disputa del Clima

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Ancora una volta il tema ambiente affiancato al verbo salvaguardare fa tremare le voci dei grandi leader mondiali. Nessuna intesa, nessun passo verso un futuro più limpido, sano e tutelato. La conferenza Onu sul clima colleziona debiti, di nuovo tutti rimandati

di Martina Martelloni

camibiamenti-climaticiVarsavia, capitale polacca che nei giorni scorsi ha ospitato fieramente e con orgoglio la nuova Conferenza sul clima siglata Onu. Una fierezza ed un orgoglio svaniti nell’aria poco prima dell’esito dell’incontro. Anche stavolta i rappresentanti mondiali stentano a trovare un punto di accordo sulla protezione di un clima instabile, che da troppo tempo lancia segni di malessere profondo. Preoccupazione nostra, vostra ma non loro.

In vent’anni di riunioni, tentativi di concreta stesura nero su bianco di dati e strategie per il ridimensionamento dell’inquinamento ambientale, non era mai accaduto che i principali angeli dell’ecologia si ribellassero lasciando le loro sedie vuote in segno di protesta. Non ci stanno a regole finte e retoriche: i fatti, quelli veri, vogliono vederli scritti con date reali di azioni efficaci e risolutive.

Così è stato: durante la conferenza gli ecologisti abbandonano la loro postazione con un peso tale sullo stomaco e sul cuore da farli urlare di rabbia. Si piange sui disastri avvenuti in tutte le aree del pianeta Terra – dalle Filippine al Midwest americano fino alla Sardegna – eppure si tratta e ritratta sulla nuova stella alpina che i colossi dell’energia inseguono, scavalcando tempi ed ostacoli pur di impossessarsi della sua luce e della sua potenza. Si chiama shale gas ed è la nuova speranza dell’energia, un tipo di gas metano estratto da giacimenti non convenzionali, incastrato scrupolosamente  in rocce d’argilla pura. Per la sua estrazione, il tasso d’inquinamento che oltraggia il clima e l’umanità tutta che ne è direttamente coinvolta ed assorbita fa tremare chi dell’ambiente si cura.

Le associazioni ambientaliste, tra le quali si annoverano anche Greenpeace, Wwf e Oxfam, non sono digiune dalle fallimentari trattative aventi all’interno dello scrigno d’oro la cura ambientale e climatica terrestre. Il calendario dei secoli XX e XXI marcano in rosso date rimaste incompiute per risultati ed obiettivi.

L’architettura dei principali accordi internazionali relativi ai cambiamenti climatici ha inizio con la UNFCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), cui sono seguiti il Protocollo di Kyoto , la COP 15 di Copenaghen, la Convenzione di Vienna per la Protezione dello Strato di Ozono annata 1985, ed il successivo protocollo di Montreal. Nel 1992 si è aperta poi la infinita e lungimirante fase della Convenzione per la difesa del clima, avviata a Rio de Janeiro nel 1992.

Sulle fragili fondamenta risiede una disputa millenaria interna alla classica dicotomia Nord e Sud del mondo. Ciascuna delle due sfere del globo accusa l’altra con decisa convinzione, benché Il Nord mantenga una posizione di eccessiva dominanza rispetto al Sud, che con gli occhi dell’osservatore passivo si è visto dettare una politica ambientale internazionale finalizzata al perseguimento degli interessi dei Paesi industrializzati. Tutto ha preso forma e modello dei dettami nordisti.

Al Sud si combatte con peggiori condizioni climatiche e disastri ambientali, figli di una maggior vulnerabilità dipesa in gran parte da crescita economica e modelli di consumo del Nord. In continenti quali Africa, America Latina ed Asia, si verificano con maggior intensità impatti climatici indimenticabili ai cittadini locali per traumi e stravolgimenti. Tutto questo risale ad un alto livello di delicatezza fisica e sociale del Sud, dipendenza dall’agricoltura, scarsità delle risorse finanziarie e fragilità degli ecosistemi.

Al Nord è richiesta una presa e decisa posizione di responsabilità, essendo portabandiera di una azione scavatrice ed sfruttatrice delle risorse terrestri degenerata negli anni, causa di un degrado ambientale del quale rifiuta di intraprendere iniziative unilaterali per la banale giustificazione che lo stesso Sud sta gradualmente ed inevitabilmente avviando il medesimo percorso di crescita e sviluppo portatore di pedaggi all’ambiente globale.

Ridurre la questione di estrema fugacità ed emergenza alla sola fisica distinzione e squadratura del globo tra Nord e Sud comporta un’attitudine allo scrollarsi le colpe senza mai toccarne con mano la reale gravità vigente e vitale. Forse  l’abbandono dell’aula da parte degli ecologisti potrebbe rappresentare per una minima percentuale l’unico modo per creare imbarazzo sui tavoli del big industriali.

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