Servizio Incivile: quando “essere” italiano non basta
Anche quest’anno il bando del Servizio Civile Nazionale è stato giudicato “discriminatorio” dal Tribunale del Lavoro di Milano. È stato accolto il ricorso di 4 giovani italiani di seconda generazione, ma per eliminare la clausola che impedisce ai “nuovi italiani” di partecipare al concorso è necessario un intervento legislativo
di Guglielmo Sano
Già nel Gennaio 2012, a proposito del bando che selezionava i volontari per il Servizio Civile Nazionale, la sezione Lavoro del Tribunale di Milano aveva stabilito che gli immigrati con permesso di soggiorno “fanno parte in maniera stabile e regolare” della “comunità”, quindi gli deve essere consentito di partecipare al Servizio Civile, che è un “dovere di solidarietà economica, sociale e politica” nei confronti della “patria” in cui vivono.
Anche nel 2013, il bando per partecipare alle selezioni del Servizio Civile, conteneva la clausola discriminatoria che lo riserva esclusivamente ai cittadini italiani “in senso stretto”. Per questo motivo, sempre lo stesso tribunale di Milano, ha accolto il ricorso di 4 giovani – tra cui una marocchina e un cingalese entrambi da più di 10 anni residenti in Italia – e ha condannato l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a riaprire il bando per un periodo non inferiore ai 10 giorni, per accogliere le ulteriori domande di iscrizione provenienti da stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.
Per il giudice Fabrizio Scarzella, l’articolo 3 del bando è risultato ancora una volta in palese contrasto con l’articolo 2 della Costituzione, che stabilisce il principio per cui anche gli stranieri radicati nella comunità hanno il dovere e il diritto di partecipare al progresso politico, economico e sociale della Repubblica.
La discussione sul carattere “discriminatorio” del bando del SCN è cominciata nel 2011, quando Syed Shashzad, ragazzo pakistano cresciuto a Milano, avrebbe voluto partecipare alle selezioni della Caritas Ambrosiana ma trovò tutte le porte chiuse, perché non era “cittadino” italiano. Il tribunale di Milano ha dato ragione per due volte alla sua lotta antidiscriminazione, respingendo l’appello della Presidenza del Consiglio che considera tuttora, come fondamento legislativo del SCN, l’articolo 52 della Costituzione.
Quest’ultimo è l’articolo che dichiara “sacro” il dovere del cittadino di servire la patria attraverso il Servizio militare ma per i giudici di Milano il Servizio Civile non può più essere considerato come sostituto della “leva” – tra l’altro definitivamente scomparsa. Le finalità presenti nella legge che istituisce il SCN non possono più essere collegate con la “difesa della patria”, aggiungono i giudici nella sentenza d’appello che dà ragione al giovane pakistano, piuttosto si collegano ai “doveri inderogabili” riguardanti la “solidarietà” sanciti dall’articolo 2 della Costituzione.
Il governo al momento ha rifiutato d’agire per via amministrativa o legislativa. Ultimamente il ministro Kyenge si è dimostrato disponibile a una riforma del servizio civile, che in ogni caso dovrà essere coadiuvata da una “difficile” legge che cambi lo stesso concetto di “cittadinanza”. Come spesso in questi casi, dunque, si procederà a piccoli passi: se a livello nazionale lo “straniero” non è ammesso alle selezioni, ci pensano i comuni (grandi e piccoli) a far partecipare chi vive e studia in Italia da molti anni.
Come fanno notare sul sito sbilanciamoci.info: “Già oggi degli 800 mila studenti di origine straniera che frequentano le scuole italiane il 44% è nato in Italia e una grande quota è arrivata prima dell’inizio dell’età scolare. Moltissimi di loro non hanno nei fatti altro paese che il nostro, ed è qui che vogliono restare, studiare e lavorare”. Insomma il bando di Ottobre cosa rappresenta se non l’ennesima espressione di cecità politica nei confronti dell’immigrazione e dell’integrazione?