L’offensiva diplomatica di Papa Francesco per la pace
La ricerca di una soluzione pacifica per il Medio Oriente è un punto focale dell’operato di Bergoglio, rafforzata anche da incontri bilaterali con Vladimir Putin e con il premier israeliano Netanyahu. Un Papa che sembra intenzionato ad azioni incisive sul piano internazionale
di Francesca Romanelli
L’Avvento è un’attesa, un’attesa piena di speranza che è incarnata nel grembo di Maria e che non può che portare frutti a chi crede, senza mai deluderne le aspettative. E la speranza alla quale Papa Francesco fa riferimento è prima di ogni altra cosa una speranza di pace: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”.
Affidandosi nell’Angelus alle parole del profeta Isaia, il Pontefice riconduce i fedeli lungo quello che è stato il vero e proprio filo conduttore che ha seguito nell’ultimo periodo: il forte impegno a contrastare pacificamente il sanguinoso conflitto siriano.
“Scommettiamo sulla speranza, sulla speranza della pace!”, è condensata in queste parole, pronunciate dalla finestra del Palazzo Apostolico sulla folla radunata in piazza San Pietro, la linea d’azione di Bergoglio. Una linea che può essere considerata una costante nell’operare dei Papi in nome della lotta contro la violenza, ma che assume un peso e uno spessore differenti se si considerano alcuni fattori concreti che le conferiscono una luce del tutto nuova.
Primo fra tutti il colloquio della scorsa settimana con il Presidente russo Vladimir Putin, il cui oggetto è stata appunto una sorprendente convergenza di intenti per pacificare il Medio Oriente. Seppur dettata da motivi di fondo di natura ben diversa e che, nel caso della Russia, hanno un sapore di convenienza economica e strategica più che caritatevole, quest’intesa è certamente indice di un modalità molto più attiva di gestire la politica estera da parte del Vaticano.
Modalità che riconfermano dunque l’ “interventismo” dello scorso settembre, con la lettera ai grandi del G20 di San Pietroburgo e la veglia di preghiera per scongiurare una soluzione militare alla crisi siriana. Avvenimenti questi che certamente hanno avuto un loro peso nel braccio di ferro tra la diplomazia americana e quella russa, vinto da quest’ultima, che ha portato alla ricerca di un accordo con il regime di Assad.
Anche successivamente all’incontro con il presidente Putin, a qualche giorno di distanza l’impegno è stato rinnovato di fronte al patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, branca orientale del cattolicesimo diffusa anche e soprattutto in Siria. Un’occasione per lanciare nuovamente un appello per la cessazione delle violenze in un’area da cui molti cristiani sono dovuti fuggire per salvarsi, esilio a cui Papa Francesco non vuole però rassegnarsi. “Molti vostri fratelli e sorelle – ha ricordato – sono emigrati, e una folta rappresentanza dalle comunità in diaspora è qui presente. Le incoraggio a mantenere salde le radici umane e spirituali della tradizione melchita, custodendo dovunque l’identità greco-cattolica, perchè la Chiesa intera ha bisogno del patrimonio dell’Oriente cristiano, di cui anche voi siete eredi”.
La questione calda del Medio Oriente, inoltre, resta centrale nell’agenda del Pontefice anche nel primo incontro della settimana, quello di 25 minuti con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e consorte. Un’opportunità per consolidare i rapporti tra la Santa Sede e lo stato di Israele, dove Bergoglio è stato invitato per un pellegrinaggio la prossima primavera, ma anche e soprattutto per un’ulteriore azione diplomatica in favore della pace nell’area mediorientale. L’argomento principale, com’era prevedibile, resta la possibile ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi, ma non è da escludere un riferimento anche all’auspicato accordo per il nucleare in Iran e alla situazione siriana, per la quale Israele si mostra cauto ma verosimilmente pronto ad appoggiare un’eventuale offensiva bellica made in Usa. Il dialogo, è quanto il Santo Padre ha ribadito, resta l’unico mezzo per aprire le porte chiuse e superare il “muro contro muro”.
Un Papa, Francesco, che sembra dunque intenzionato ad affacciarsi spesso e con il piglio incisivo che gli è proprio sulla scena internazionale, intervenendo in prima persona e senza timore di rivolgersi ai grandi della terra in maniera piuttosto diretta. Radicalmente differente, anche in questo suo aspetto, dall’operare più timido del suo predecessore, Bergoglio è attento alle questioni geopolitiche non meno che a quelle dottrinali e c’è da aspettarsi una svolta energica nell’azione della diplomazia vaticana, quella che appunto già sembra intravedersi.
Per certi versi anche se i tempi e il “grande nemico”, il comunismo, sono mutati, sembra quasi di veder ricalcare la scena quel grande attore carismatico che è stato Papa Giovanni Paolo II. Non vedremo forse Bergoglio a fianco di figure controverse come Pinochet, c’è da augurarselo, ma senza dubbio sarà più verosimile immaginarlo come il Pontefice polacco, in viaggio e pronto far udir la propria voce, piuttosto che chino sui libri di teologia tanto cari a Joseph Ratzinger.
(fonte immagine: ansa.it)
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