Un tuffo nel dark. Trent’anni dopo
La cultura underground romana degli anni ‘80 immortalata da Dino Ignani
di Federica Salzano
Roma, anni ‘80. All’ingresso di un club dark un fotografo allestisce un set per immortalare giovani con acconciature eccentriche, borchie, orecchini e giubbotti di pelle. Non è la scena di un film, ma è quello che realmente faceva Dino Ignani tra il 1982 e il 1985.
Il suo lavoro ha prodotto una serie di ritratti che oggi vengono esposti alla s.t. senza titolo foto libreria galleria. Le fotografie presentate sono esattamente le stesse di allora: stampe ai sali d’argento, in bianco e nero, eseguite dallo stesso Ignani. La mostra – organizzata nell’ambito della XI edizione del festival FotoLeggendo – è 80’s Dark Portraits, visitabile fino al 5 gennaio 2014. A questa si accompagna la pubblicazione di un volume – curato dalla galleria senza titolo – che non consiste in un semplice catalogo delle foto esposte ma mira a integrare immagini e testi. Questi non sono didascalie ma racconti, commenti ed esperienze di chi quegli anni li ha vissuti o li guarda da lontano.
Alcuni brani sono del tempo, come il contributo di Roberto D’Agostino e il racconto dello scrittore Emanuele Trevi “Punk sulla spiaggia di Ostia”. Altri sono stati realizzati per l’occasione, come uno spiritoso amarcord di Daniela Amenta – giornalista de L’Unità – e il testo di Paola Paleari – curatrice del progetto insieme a Matteo Di Castro – che accompagna nella lettura delle immagini.
Il soggetto delle fotografie è il popolo dark della Roma anni ‘80. Una parte esigua della gioventù di allora ma molto ben caratterizzata che, racconta Ignani, «usava prevalentemente abbigliamento nero, collane, rosari e altra bigiotteria scelta con cura. Prediligeva acconciature vistose e volutamente elaborate: “simboli” scelti per rifiutare l’estetica dominante e per distinguersi dalla moltitudine considerata conformista».
Uno stile che vuole essere forma, quindi, ma anche messaggio, un modo per delineare la propria identità nella cifra della diversità e dell’eccentricità. Spesso erano proprio quei giovani a cucire gli abiti per se stessi e per gli amici, dando sfogo alla fantasia e all’estro. E il modo in cui Ignani immortala queste persone permette all’osservatore di cogliere le peculiarità di ogni soggetto, benché tutti siano riconducibili allo stesso movimento dark. Lo scatto è sempre frontale, a mezzo busto, con uno scenario preferibilmente neutro. Anche l’allestimento, volutamente essenziale – le foto sono affisse a una parete bianca con quattro chiodini ognuna – mette in risalto la serialità del progetto e lascia spazio ai volti dei giovani catturati dall’obiettivo.
Dai ritratti si evince l’attenzione dedicata allo stile e al modo di vestire. «In queste foto c’è soprattutto l’Italia del look» commenta Roberto D’Agostino. Secondo lui questi ritratti sono «la materializzazione di una ricerca inquieta di identità immediata, di seduzione, di comunicazione». Oltre ai vestiti dark, alle pose teatrali e alle espressioni imbronciate infatti si può individuare una vasta gamma di sguardi: allegri, sognanti, allucinati, sfidanti e ingenui.
Sguardi di giovani che ambiscono al cambiamento e sognano il futuro. Un futuro che oggi è arrivato. Che vede il ritorno di quelle tendenze, oggi riproposte in salsa vintage ma prive della carica di ribellione di un tempo. E allora, cosa è rimasto oggi dell’energia di quel movimento? Secondo Ignani per rispondere a questa domanda non basterebbero intere pagine e d’altronde un trattato di sociologia non è lo scopo della mostra. I ritratti vogliono immortalare un momento, una tendenza, una fase. E nel dubbio conviene restare a guardare negli occhi tutti quei ragazzi – forse oggi genitori passati dall’altra parte della barricata – che sono stati giovani trent’anni fa e con i quali molto probabilmente, pur nelle differenze di stile, le nuove generazioni condividono paure, sogni, incertezze ed emozioni.