L’Ucraina sceglie ancora Mosca
Kiev dice no all’Europa: le pressioni di Putin, il nodo Timoshenko e le ambizioni del presidente Yanukovich prevalgono sull’ipotesi di associazione commerciale con l’Unione. Piazza in rivolta da quasi venti giorni
di Sara Gullace
Ormai è chiaro: le scelte politiche dell’Ucraina passano per il gas, per Gazprom. O meglio: per il Cremlino. La Russia di Putin, tra promesse e minacce, ha finito per avere maggiore peso di una prospettiva di stabilizzazione europea. Così, dopo quasi sette anni di trattative per entrare a far parte del Partenariato dell’Est con Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Moldavia e Georgia, l’Ucraina del presidente Yanukovic congela l’accordo.
Il vertice di Vilnius del 28 e 29 novembre poteva essere un forte passo di avvicinamento all’Unione Europea per la nazione che per prima, nel 1991, si rese indipendente dell’URSS. Invece si è risolto in un dietro front: fastidioso e forse imbarazzante per Bruxelles, sicuramente deleterio per centinaia di migliaia di ucraini che ormai da dieci giorni manifestano a piazza Maidan e nei luoghi del “potere” sfidando cariche e arresti della polizia.
Sul tavolo del “partenariato”, creato nel 2009 per subentrare nei territori dell’Est, un pacchetto costituito da agevolazioni sui visti, liberalizzazioni doganali e assistenza finanziaria che avrebbe assicurato una relazione più integrata con l’UE. In previsione, con la firma dell’accordo di associazione l’export ucraino avrebbe potuto risparmiare nel primo anno circa mezzo miliardo di euro in dazi. In termini di Pil avrebbe significato guadagnare 6,2 punti percentuali a favore della crescita. Inoltre, il mercato sarebbe stato più fluido: senza dazi in frontiera sulla merce europea, le imprese estere avrebbero più facile inserimento nel mercato interno, muovendo l’economia così come il mercato del lavoro.
Di certo l’Ucraina non vuole perdere i benefici a lungo termine dell’Europa, ma teme anche (forse anche di più) di non ottenere quelli a stretto giro che potrebbero garantire un legame con la Russia e l’Unione doganale, di cui fanno anche parte Bielorussia e Kazakistan.
Stringere la mano a Bruxelles vorrebbe dire dalle le spalle a Mosca. E Kiev, in questo momento di difficoltà economica, non se la sente. Il rischio di crisi nell’approvvigionamento energetico e il probabile inasprimento dei dazi doganali che prospetta di imporre la Russia, per il momento, hanno avuto la meglio.
A seguito del summit il premier ucraino Mykola Azarov ha tenuto il piede in due staffe: lo stop, solo momentaneo, è dovuto a motivi strettamente economici. Impossibile assorbire le perdite commerciali con la Russia, previste se avesse firmato il trattato con l’Ue – le perdite si aggirerebbero attorno al 25%. Per l’Europa, c’è ancora tempo e speranza: come il prossimo meeting di Marzo 2014.
Ma c’è poco da essere ottimisti perché non di sola natura nazionale sono gli interessi che tengono l’Ucraina lontana dall’Europa. Il presidente Yanukovich teme ad allontanarsi da Putin a ridosso delle presidenziali del 2015: non godere dei suoi favori vorrebbe dire perdere denaro da impiegare per la campagna elettorale e dover fronteggiare i media filo-russi che, a quel punto, evidenzierebbero il disagio economico delle regioni russofone dell’Ucraina desviando i voti dell’elettorato locale.
La scelte politiche dell’Ucraina si stanno definendo nettamente, ma non denotano trasparenza. E c’è un ulteriore e non meno decisivo fattore che pesa sul diniego di due settimane fa. Si chiama Yulia Tymoshenko. Nell’ottica di un allineamento degli standard europei, l’UE aveva posto come elemento indispensabile per la firma dell’accordo, la sua scarcerazione in quanto, secondo la Corte Europea, vittima di giustizia selettiva e di sentenza politica.
La Timoshenko, è stata primo ministro dell’Ucraina tra dicembre 2007 e marzo 2010 dopo
essere stata protagonista della “rivoluzione arancione” nel 2004, proprio a scapito di Yanukovich. Nel dicembre 2010 venne accusata di abuso di potere per aver firmato senza il benestare del governo un accordo con la Russia per fissare il prezzo dovuto dall’Ucraina per gli approvvigionamenti di gas naturale. La trattativa venne giudicata svantaggiosa per gli interessi degli oligarchi ucraini e segnò la fine della sua ascesa politica.
Nell’ottobre del 2011, infatti, arrivò la condanna a sette anni di reclusione, poi confermata nell’agosto 2012. Per una grave ernia al disco, da alcuni mesi è ricoverata nell’ospedale di Kirkhev ma il suo destino, una volta dimessa, non contemplerà la libertà. La Timoshenko è un personaggio in grado di mettere a repentaglio la riconferma di Yanukovich: con lei fuori gioco, è più vicina la riconferma alle elezioni del 2015 – suo vero e primario obbiettivo, secondo diversi analisti nazionali.
In questo incrociarsi di destini ed aspettative nazionali ed individuali, gli ucraini europeisti restano delusi. Si parla di diverse centinaia di migliaia di manifestanti scesi in piazze e strade della capitale: dai liberali ai nazionalisti, di ogni estrazione sociale ed età. Moltissimi i giovani, provenienti da varie città e soprattutto dalla parte occidentale del Paese, culturalmente meno vicina alla Russia. Il governo ha reagito con una dura repressione che ha portato arresti, pestaggi e misure di controllo sull’informazione. L’opposizione continua a chiedere la sfiducia a Yanukovich, già bocciata dall’esecutivo (ovviamente) e ritenuta incostituzionale da Azarov.
Di circostanza le reazioni di Nato e USA. Il Segretario Generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha condannato: “L’uso eccessivo della forza contro le proteste pacifiche in Ucraina. Facciamo appello ai protagonisti affinchè si astengano dalle provocazioni e dalle violenze”. Gli ha fatto eco John Kerry: “Invitiamo il governo ucraino ad ascoltare la voce dei cittadini che chiedono libertà e invitiamo tutte le parti ad una condotta pacifica. In uno Stato europeo moderno non deve esserci spazio per la violenza”.
Mentre l’UE ha tenuto a sottolineare che, benché le porte dell’Unione restino aperte, Kiev dovrà prendere una decisione definitiva senza aspettarsi di poter contrattare con il miglior offerente. E la liberazione di Timoshenko resta imprescindibile.