L’inarrestabile guerra civile
Marzo 2013: nella Repubblica Centrafricana veniva deposto il presidente François Bozizè dall’alleanza Seleka. Oggi quegli stessi ribelli seminano terrore e irrefrenabile violenza
di Martina Martelloni
Nel cuore del continente africano, il territorio della Repubblica Centrafricana è racchiuso e circondato da Paesi con fragili equilibri interni. Il Ciad che fa ombra da nord, volgendo lo sguardo a Sud si tocca terra del Congo, ad Ovest si abbraccia il Camerun mentre ad est si estende il Sudan ed il neo suo dissociato Sud.
In questa intrecciata area “geografrica”, da quasi un anno si combatte giornalmente una battaglia senza nome legata a motivi oramai dimenticati nel tempo. Si lotta e si distrugge come effetto di un caos interno alla società civile, frutto ultimo di una politica inesistente e di poteri senza legittimità e senza autorità democraticamente riconosciuta.
Il regime del presidente François Bozizè è finito il 24 marzo, dopo un atto di forza guidato dalla coalizione ribelle in gran parte composta dai musulmani Seleka. Le fila del governo sono state così affibbiate al militare Michel Djotodia. Da quel momento in poi, però, l’incomprensione e la mancanza di una logica di direzione hanno polverizzato le città: la degenerazione e la totale perdita di controllo delle forze ribelli hanno iniziato a devastare il Paese seminando odio, rancore, paura.
Mesi e mesi di guerra interna risultante anche da una serie di insoddisfazioni e promesse non rispettate che secondo i ribelli equivalgono al tradimento. Tra queste: la liberazione dei detenuti politici, l’integrazione dei guerriglieri nell’esercito regolare e la fine del sostegno militare in Sudafrica ed Uganda.
La prima a finire sotto assedio dei Seleka, è stata la capitale Bangui, colpita più e più volte da saccheggi e violenze. Aria glaciale in un paese dal clima bollente. La situazione umanitaria volge sull’orlo della caduta in un vuoto di diritti e dignità senza fine. Tante le denunce, tanti i timori e le vittime di questo scenario, soprattutto bambini talvolta prelevati a forza dai gruppi armati per farne soldatini con armi alla mano.
Lo scorso 5 dicembre, la decisione è stata presa: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che permette alla Francia del presidente Hollande di inviare ulteriori soldati in terra centrafricana (oltre ad un regimento già presente sul territorio per una missione peacekeeping) – ed eventualmente, ma molto eventualmente, di poter far uso della forza.
Un passato da ex colonia francese, un legame che seppur normativamente terminato anni ed anni fa, resterà sempre vivo tra paese colonizzatore e paese occupato. Così, Hollande ha inviato un numero per ora esiguo di militari pronti all’attacco ed alla difesa. Ma quali siano i reali interessi e strategie dell’Eliseo, questo non è cosa nota e palesemente diffusa a tutti.
Dopo i fatti avvenuti in Mali, la Francia intende riportare un ordine civile ed istituzionale ed arrestare le emergenze umanitarie, poi però, il passo successivo potrebbe mirare ad un incisione decisionale sull’assetto politico da dover ristrutturare.
Bangui non conosce un futuro proprio, un influenza esterna sulla ristrutturazione del governo vede a capofila proprio la Francia di Hollande, essendo quello attuale una fantoccia rappresentanza non designata con elezioni libere e democratiche. La regione continentale con a cuore la repubblica centrafricana è scossa da troppi terremoti e i vecchi colonizzatori dell’area potrebbero ora avere la possibilità di riportare la loro presenza fisica e decisionale.