La lunga transizione libica
Dalla fine del regime marchiato Gheddafi, la Libia è in costante ricerca di equilibrio e stabilità interna. L’omicidio del viceministro dell’Industria scuote anime e menti di un Paese diviso
di Martina Martelloni
La grande terra della Libia, come tutti i Paesi del continente africano, ricorda esperienze ed eventi storici forti, segnati da confini stabiliti da altri seguendo criteri geometrici e non culturali, etnici, nazionali.
Nella lunga linea del tempo, il 2011 è stato anno di svolta e di memoria. Una guerra civile come quella che ha portato alla fine, politica e fisica, del dittatore Gheddafi resterà sempre immemore storia da tramandare e raccontare. La rivalsa di gran parte della popolazione sotto lo stemma del Consiglio Nazionale di Transizione e poi quell’aiuto esterno un po’ invasivo e tagliente della Nato – una questione di ingerenza per fine umanitaria, ma sempre di bombe e distruzione si è trattato.
Ora, a più di due anni dal vento di cambiamento, in Libia si attende la lunga fase di transizione verso un sistema di governo legittimo ed in grado di occuparsi di un Paese in fiamme.
I fatti di Sirte parlano forte e chiaro: l’attentato mortale al viceministro dell’Industria Hassan Al-Droui mostra l’accesa e violenta contrapposizione tra varie milizie – nonché divisioni tra gruppi tribali.
Al Droui era uno storico componente del Consiglio di Transizione, il suo incarico venne riconfermato dall’attuale Primo Ministro Ali Zeidan, colui che si trova a tentare di governare una popolazione scontenta, insoddisfatta, delusa.
Dalle elezioni del 2012 i libici sono usciti speranzosi per un mutamento reale del paese. In realtà l’economia, la politica, la società mostrano segni e lanciano allarmi di forte decadenza e degrado. La rivalità civile facilita l’addentrarsi e radicarsi di gruppi criminali e organizzazioni jihadiste, testimonianza ne sono gli attentanti ed esplosioni di bombe come quello avvenuto lo scorso 22 dicembre nella città di Bengasi.
La rivoluzione alla quale tanto hanno creduto i libici sembra ora disperdersi per le strade. La politica non fornisce risposte e i piani di ristrutturazione economica sono in piena stasi e declino. Il processo di “defunzionalizzazione” dello Stato prende corso attraverso l’agire di milizie nostalgiche del regime Gheddafi o semplicemente incredule e malcontente dell’attuale sistema politico sorto dalle elezioni del 2012.
Paradosso cruciale che evidenzia il bisogno insito di riemergere, si rispecchia nella disponibilità ed uso di risorse energetiche – petrolio in primis. Nonostante la terra libica ne sia portatrice, è proprio il greggio ad essere simbolo di protesta attraverso scioperi ed occupazione degli impianti e di alcuni pozzi da parte di lavoratori e milizie contro l’assenza di progetti infrastrutturali e miseria di lavoro.
L’attesa per la fine di questa lunga transizione potrebbe giungere con la nuova Costituzione che verrà redatta dal Comitato Costituente in tempi brevi. Le risorse e la volontà di ripresa sono chiare e manifeste nella popolazione libica la quale, pur divisa da strutture clanico tribali, cerca una via diversa da quella che per vent’anni ha isolato diplomaticamente e umanamente la Libia del dittatore Gheddafi.