Basket: NBA, top e flop di metà stagione
Superata la boa delle 41 partite. Annata ricca di sorprese, con un Kevin Durant mattatore
di Stefano Brienza
su Twitter @BrienzaStefano
Quando si inizia a sentire il rumore dei ferri che si piegano ed un inconfondibile profumo di dollari freschi (per di più di provenienza asiatica), vuol dire che l’All-Star Game è alle porte e la metà della stagione è passata. Ad oggi tutte le magnifiche trenta hanno superato quota 41 partite, fatidica pietra miliare per iniziare a stracciare definitivamente i power ranking e le previsioni andate peggio, o per braggare (per i meno nerd: “bullarsela”) su un commento isolato datato 12 settembre 2009, probabilmente verso le 4.20 del mattino, “Scommetti che fra qualche anno Mirza Teletovic segnerà 24 punti in un quarto in NBA?”.
La stagione è stata quantomeno curiosa. Mentre gli Heat (32-12) perdono smalto in regular season, un gruppo di lupi affamati è pronto a far carcassa di Lebron James e compagni al primo passo falso nei playoff. Hanno le casacche di Pacers, Blazers, Thunder, Spurs, Clippers: mezza stagione ha detto che le contender sono loro. Nel frattempo, larga parte della Lega sta pensando solo a guardare highlights dei vari prospettoni Parker, Wiggins ed Embiid in vista dello strombazzatissimo draft del prossimo giugno, miracoloso toccasana nella mente di tanti general manager che vi ci sono aggrappati, spesso per coprire le proprie colpe.
E poi piovono grandi prestazioni. Love e Aldridge confezionano doppie doppie da record. Anthony, in mezzo ad una stagione catastrofica, batte il record dei Knicks scherzando la difesa dei Bobcats. Fanno 62. Durant sta ufficialmente esagerando (nell’ultimo mese career high a 54, due volte 48 e un timido 46) e ne parleremo più avanti. La sorpresa arriva da Toronto, dove Terrence Ross tira fuori uno dei cinquantelli più improbabili di sempre, 51 punti quando il precedente massimo era di 26. È una stagione un po’ strana, alla quale mancano tantissimo gli infortunati: bruttissime le ricadute di Westbrook, Rose e Bryant, per proseguire con Paul, Horford, Holiday, Bledsoe, Lopez e tanti altri, compresi Gallinari e Bargnani. Quelle che seguono sono le palme di TOP 3 e FLOP 3 di metà stagione, ma un retrogusto di amarezza pervade il palato quando si realizza quanto talento si stia perdendo in questi mesi fra centri riabilitazione e visite specialistiche.
FLOP 3
1. LA EASTERN CONFERENCE
Quando sono state create Western ed Eastern Conference, l’idea non era quella di creare due campionati di livello smaccatamente diverso, come fossero Serie A e B. Oggi il confronto del record complessivo dei due gironi è imbarazzante: 297 vinte e 406 perse per l’Est, 376/300 per l’Ovest.
Tolte Miami ed Indiana (mai così felici della situazione), l’Est è un’accozzaglia di squadrette né carne né pesce, che si giocheranno fino alla fine tutti i posti playoff dal terzo all’ottavo, e realtà totalmente votate al tanking in ottica draft. I Bulls senza Rose hanno ceduto Deng a Cleveland e mollato gli ormeggi, Horford ha lasciato a piedi Atlanta.
Lo spettacolo ne risente non poco, e mentre nel Far West si rimarrà fuori dalla postseason con 45 W, dall’altra parte ad oggi tre record negativi entrerebbero in tabellone approfittando della scarsezza della Conference orientale.
2. LA SOLITUDINE DI BELINELLI
Il titolo non inganni: a San Antonio (33-12) va tutto benissimo. La prima stagione di Marco Belinelli in Texas procede a gonfie vele e il bombardiere di San Giovanni in Persiceto farà la sua prima apparizione al Three Point Shootout dell’All-Star Game in qualità di miglior tiratore da tre della Lega.
Chi manca sono i suoi tre connazionali, che per motivi diversi hanno reso una delusione totale quella che doveva essere la grande stagione dei quattro italiani. Datome è stato risucchiato in panchina nella mediocrità di una Detroit allo sbando, Bargnani ha avuto qualche mese molto altalenante (eufemismo) nel disastro dei Knicks, per poi procurarsi un infortunio che ha concluso la sua annata in maniera tragicomica, come testimonia questo video:
Gallinari in campo non ci è mai tornato e non ci tornerà prima di novembre, quello della prossima stagione, visto che i tempi del suo infortunio si sono allungati ancora e nelle sue statistiche del 2013/14 ci saranno 0 partite giocate. Rocky porta la bandiera egregiamente, ma sono tempi duri per i nostri gioiellini.
3. LE GLITTERATE
In un torneo che vede tante provinciali al potere, si distinguono evidenti mancanze nelle posizioni buone di classifica. I grandi mercati quest’anno falliscono, e se vogliamo dirla tutta, a differenza di tante piccole Indiana e Portland in divenire, la progettazione di Los Angeles e New York permette pochissimi sbocchi positivi nel breve, medio e lungo termine.
Spesso il richiamo del fascino del glitter basta da solo a costruire squadroni, ma questo è un anno di transizione. I Knicks (18-27) per adesso riuscirebbero nell’impresa di rimanere fuori dai playoff ad Est con un monte salari da 87 milioni e potrebbero dover salutare Carmelo in estate, a fronte di un progetto fallito.
I Lakers (16-30) l’anno prossimo ripartiranno praticamente da zero, perdendo Gasol per niente ed avendo a libro paga Bryant (con il rinnovo folle da 23.5 milioni), Nash (9.7 milioni di ex giocatore) e Sacre, senza nessun giovane. Il sole della California avrà il compito di sedurre Kevin Love, ma nel frattempo ci sono ancora tanti quintetti da “LegaDue” da sperimentare prima di trascinarsi alla fine di una stagione non da Lakers.
TOP 3
3. ANTI-TANKING: PHOENIX SUNS
Fra tanti accadimenti curiosi, la sorpresa delle sorprese sono loro. Accreditati ad inizio anno di una delle più potenti macchine da tanking – e quindi da salutari sconfitte – della storia, i Suns di uno strepitoso coach Jeff Hornacek hanno scelto di onorare il campo e stanno smentendo chiunque da tre mesi. Attenzione, perché l’ex maggiordomo di casa Stockton-Malone sembra pronto ad una carriera più che luminosa. Con un ritmo alto ed una squadra di atleti, Phoenix sta tenendo un passo da playoff (26-18) che ad Est varrebbe una comoda terza posizione. Merito dei due play Dragic-Bledsoe, difficili da accoppiare sulla carta ma rivelatisi micidiali sul campo. Della scossa che danno ogni sera i gemelli Markieff e Marcus Morris dalla panchina. Di un Gerald Green formato JR Smith dell’anno passato. Complimenti ai Suns, la squadra che ha scelto di non perdere.
2. PACERS E BLAZERS, DIAMANTI DI PROVINCIA
Quasi pleonastico, ma mai vero quanto oggi: Pacers e Trail Blazers sono le squadre dell’anno. Indiana (34-9) sta dominando l’Est e lavora per assicurarsi il fattore campo per tutti i playoff. La crescita graduale della franchigia di Larry Bird è sbocciata nel suo massimo splendore insieme a Paul George, la nuova superstar più chiacchierata dell’anno, un eclettico puma senza difetti che ha innalzato il suo livello di gioco all’interno di un gruppo compatto e profondo.
Ha un epigono a Portland (33-13), quel Lamarcus Aldridge che da “semplice” All-Star criticato per la sua morbidezza è diventato dominante trascinatore di una squadra al top della Western Conference. Insieme a Lillard sta vendicando il destino beffardo che ha tolto ai Blazers Roy ed Oden: in provincia si fa di necessità virtù, la competenza deve sconfiggere la sfortuna. Con due coach giovani e capaci, le due squadre di provincia lotteranno per l’argenteria pesante.
Fra i nuovi uomini franchigia, menzione d’onore per Stephen Curry. I suoi Warriors (27-19) vanno a fasi altern. Lui è un one-man show vivente. Fra tiri assurdi, quarti quarti in trance agonistica e crossover funambolici, il cerbiatto da Davidson vince le partite dando spettacolo come nessun altro.
1. SEMPLICEMENTE KD
Il mattatore del 2013/14, però, è uno solo. Ci sono una serie di numeri ed immagini che descrivono meglio di qualsiasi parola la stagione pazzesca che sta disputando Kevin Durant. Innanzituto, Oklahoma City è prima ad Ovest (36-10) mentre Russell Westbrook, che tornerà nuovamente a breve, ha già saltato 21 partite. Con 31.3 punti a gara surclassa il secondo in classifica, Anthony, di oltre quattro lunghezze. Ha timbrato il nuovo career high con 54 ed ha una striscia aperta di undici trentelli, la più lunga da dieci anni. A gennaio fa registrare un jordaniano 36.9+6.1+6.2. Indovinate quanti giocatori nella storia della NBA hanno segnato 30 punti di media con almeno il 50% dal campo e il 40% da tre (51% e 42% per KD)? Nessuno. Aggiungete qualche partita vinta da solo, un po’ di game winners, i miglioramenti continui nonostante sia già al top assoluto e il fatto che il terzo miglior giocatore attivo della squadra in cima ad una delle Conference più dure di sempre sia il play di riserva Reggie Jackson. Ma è opportuno ribadire che i numeri e i punti segnati parlano un linguaggio diverso da quello che esprimono le immagini. Impressionano e fanno godere anche alla centesima visione. Semplicemente KD.
Ecco i video di Kevin Durant:
54 punti e un quarto quarto da sogno
48+7+7 e game winner
L’ultimo tiro vincente, poche notti fa