Repubblica Centrafricana: un nuovo governo per un futuro diverso?
Dopo mesi di violenze, il Paese prova a cambiare pagina con Samba-Panza, primo Presidente donna
di Sara Gullace
Prima delle elezioni, dovrà arrivare la stabilità. Ne è assolutamente consapevole Catherine Samba- Panza, nuova Presidente ad interim della Repubblica Centrafricana che, in carica dallo scorso 24 Gennaio, ha il compito di portare il Paese alle elezioni politiche e legislative entro il Febbraio del 2015.
Prima donna a ricoprire l’incarico di Presidente, Samba Panza ha battuto in due turni la concorrenza del rivale Kolingba: 75 voti contro 53. Ma chi è Madame Samba Panza? Cinquantotto anni, madre di tre figli, studi in diritto in Francia, giurista d’impresa con un passato di direttivo in Allianz e sindaco di Bungui, capitale centrafricana, ha spesso legato il suo nome a numerose ONG umanitarie tra cui Amnesty International. Le sue battaglie contro la corruzione e per una partecipazione delle donne nei posti di carriera direttivi sono elementi che la contraddistinguono. E che ben fanno sperare agli occhi della comunità internazionale per il futuro di uno dei paesi più poveri del continente. Così come il fatto che sia di confessione cristiana ma parli anche arabo.
A Lei, quindi, il governo di transizione. Dicevamo di stabilità politica e sociale. Il suo primo e ufficiale intervento da capo di stato è un “appello ad un comportamento patriottico alle sezioni musulmane e cristiane che da mesi stanno dilaniando il paese”.
Da mesi, il Centrafrica non vive: sopravvive. A Marzo 2013 i ribelli musulmani Séléka hanno destituito il presidente Bozizé, autoproclamando Djotodià capo di Stato. Da allora è stato un continuo susseguirsi di scontri e ritorsioni tra milizie cristiane anti-balaka (anti-machete) e quelle dei Séléka, composte da musulmani e con una forte presenza di fede sunnita-wahabita al loro interno.
Lo stesso Djotodìa, lo scorso settembre, aveva sciolto e messo al bando i Séléka senza, comunque, riuscire a fermare morti e violenze. I dati Onu parlano di oltre 2 mila vittime e 900 mila sfollati. Il 10 gennaio scorso, il Presidente ha dato le dimissioni, su pressione dei leader locali e della Francia (il centrafrica è un ex colonia) che lo hanno accusato di inadeguatezza nel gestire un disastro completamente sfuggito al suo controllo.
Un paese ad un passo dalla guerra civile. L’Onu parla di genocidio. Ma esclusivamente di questo si tratta? La componente interraziale e lo scontro tra civiltà sono, di certo, forti e fanno evidentemente da sfondo. Il centrafrica è terra ricca di uranio, oro e diamanti: il colpo di stato di 10 mesi fa, avvenne per mano si dei Séléka, ma guidati da mercenari che si suddivisero, poi, il controllo della zona. La violenza mortale con la quale si imposero scatenò le reazioni dei gruppi cristiani armati e il conseguente inferno in cui tutt’oggi si trovano.
La storia del territorio, del resto, non ha mai conosciuto vita facile. Colonia francese fino al 1960, il continuo alternarsi di governi civili e militari ed i numerosi colpi di stato hanno reso la Repubblica Centrafricana un paese con uno Stato debole quando non assente in termini politici, economici e sociali. Questa condizione di debolezza, inoltre, l’ha resa facile meta di fuoriusciti dei paesi confinanti: Ciad, Sudan e Repubblica del Congo. L’instabilità è un elemento fondante di questo paese tra i più poveri della Terra.
La comunità internazionale ne ha preso consapevolezza negli ultimi mesi. La Francia si è mobilitata soltanto lo scorso autunno: l’Eliseo aveva sottovalutato la situazione, nell’ammissione dello stesso Aroud, ambasciatore Onu: “Sapevamo che c’era una certa violenza interconfessionale ma non avevamo previsto un odio così profondamente radicato”. A Novembre sono stati inviati 1600 soldati, a sostegno dei 2500 uomini della missione di peacekeeping MISCA dell’Unione africana.
L’Onu ha aperto una commissione di inchiesta per indagare sugli abusi e le violenze commesse dal primo gennaio 2013 sul territorio nazionale e individuarne i responsabili. Resoconto previsto, giugno 2015. L’Unione Europea ha annunciato che invierà 500 soldati e 500 milioni di dollari, di cui 200 immediatamente a disposizione per le questioni umanitarie più urgenti: cure e cibo. La decisione è stata presa negli ultimi giorni, superando il veto di Gran Bretagna e Italia.
Sicurezza, ripresa umanitaria ed economia saranno, quindi, le priorità del governo di transizione, costituito nelle ultime ore dal 62enne André Nzapayeké che, al momento della nomina da parte di Samba Panza, era vice presidente della Banca di Sviluppo degli Stati d’Africa Centrale. Il suo entourage è composto anche da figure vicine all’ex Djotodìa come agli anti-balaka : 20 membri, tra cui sette donne.
A loro, il compito di voltare pagina. Ridare un’organizzazione politica ed amministrativa alla nazione; permettere ai suoi cittadini di riappropriarsi delle proprie case e rientrare nelle proprie città senza il timore di rappresaglie, saccheggi ed attentati così come combattere il sempre più diffuso fenomeno dei bambini soldati; rilanciare l’investimento pubblico e privato. Ed elezioni democratiche, naturalmente.
L’incubo, intanto, prosegue: l’ultima vittima è un ex ministro, Mamoud Issene, funzionario musulmano forse partitario dei Séléka (anche se Djoitìa smentisce): ucciso in piazza a colpi di machete, sabato scorso.