“Free wi-fi”: la connessione internet vittima della burocrazia

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Il “decreto del Fare” ha reso il wi-fi libero da protocolli d’identificazione: ma sono ancora molti i comuni e le istituzioni locali che mantengono in piedi il sistema di “tecnocontrollo”

di Guglielmo Sano 

imagesCol Decreto del Fare il governo Letta ha reso “libero” il wi-fi – quello messo a disposizione dai locali ma anche da vari comuni oltre a che da provincie e regioni. Per accedere a tali reti, dunque, non dovrebbero essere più necessarie lunghe procedure di registrazione e di identificazione – prima obbligatorie per legge. Una buona notizia per tutti gli utenti che accedono agli hotspot gestiti da proprietari di pub e ristoranti ma anche da quelli di molte istituzioni locali.

Il problema è che a Italia Free-wifi – azienda che gestisce, tra gli altri, gli hotspot delle Regioni Sardegna, Friuli Venezia-Giulia, Piemonte, delle Provincie di Roma, Firenze, Grosseto e dei comuni di Pisa, Livorno, Venezia, Genova, Brescia – è stato richiesto, durante l’ultima assemblea degli enti federati dello scorso 21 Ottobre, “di mantenere il sistema di autenticazione per chi vuole navigare nelle loro reti”.

Quasi 540mila utenti (la “federazione” raccoglie 61 reti, di cui 27 interconnesse, e gestisce 2838 hotspot) restano quindi prigionieri della cultura burocratica delle amministrazioni italiane: che potrebbero liberalizzare il proprio wi-fi, secondo le nuove modalità concesse dalla legge – come già è stato fatto per esempio dai comuni di Firenze, Padova, Campi Bisenzio e Andria – invece di opporvisi.

Il processo di liberalizzazione delle reti wi-fi ha ormai una lunga storia: fino al 31 dicembre 2010 tutti coloro che mettevano a disposizione internet – come gli Internet Point ma anche bar, hotel ecc. – erano obbligati a chiedere la licenza al Questore. Inoltre, i titolari o i gestori avevano l’obbligo di richiedere i dati anagrafici di ogni utente che effettuava l’accesso in rete (identificazione) e di tenere traccia dei dati di traffico utilizzato (log) – per legge bisognava conservare la fotocopia del documento degli utenti occasionali. Queste misure erano state messe in atto dal legislatore italiano nel 2005 – con il decreto Pisanu, non a caso soprannominato “anti wi-fi” – per scongiurare episodi di terrorismo e criminalità in generale.

A fine dicembre 2011, invece, il decreto “Milleproroghe” (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del d.l. n. 216 del 29 dicembre 2011) non ha riportato la consueta proroga dell’art. 7 del Decreto Pisanu. Nonostante un’iniziale sicurezza che tutto sarebbe rimasto invariato a causa dell’annunciata proroga al 31 dicembre 2012, il testo finale ha sorpreso tutti, desistendo dal riproporre la limitazione al “wifi libero” che durava, appunto, sin dal 2005.

Con il “Milleproroghe” venne innanzitutto modificato il comma 1 dell’art. 7, imponendo thumbnail_526_wifi-free-locatorl’obbligo di richiesta di licenza al Questore solo a quei soggetti che mettevano a disposizione del pubblico terminali utilizzabili per le comunicazioni anche telematiche “come attività principale” (Internet Point), escludendo così quegli esercizi che si limitavano a fornire una o più postazioni per l’accesso internet ai propri clienti (bar, hotel, ecc.), in via accessoria rispetto all’attività principale. Inoltre, elemento ancor più rilevante, con l’abrogazione dei successivi commi 4 e 5, cadde l’obbligo di identificazione attraverso l’acquisizione di dati anagrafici dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche, ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili.

Con l’abolizione del decreto Pisanu naturalmente non cadeva anche l’obbligo, per l’esercente che volesse offrire la connessione a internet, di possedere l’autorizzazione ministeriale per la fornitura del servizio: l’art. 25 del Codice delle comunicazioni elettroniche, infatti, impone a coloro che intendono fornire al pubblico il servizio di telecomunicazione mediante l’utilizzo di collegamenti diretti o commutati alla rete pubblica, di dotarsi di un’autorizzazione generale. Pertanto, l’esercente dovrà operare attraverso un fornitore del servizio dotato di autorizzazione ministeriale (ISP-WISP).

Tuttavia il quadro giuridico, successivo al decreto Pisanu, lasciava adito a molti dubbi normativi. Per questo motivo, grazie alla pressione del M5S, è stata varata la norma a firma del relatore Francesco Boccia, contenuta nel “decreto del Fare”, che rende libero il wi-fi, e che al suo articolo 10 recita: “l’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite tecnologia wi-fi non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. Quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche – rivolgendosi a installatori non autorizzati si rischiava una multa compresa tra i 30 e i 150mila euro (ndr).

Sarebbe bastato sostituire un “non richiede” con un “non deve richiedere” per mettere la parola fine all’incresciosa vicenda delle reti wi-fi “pubbliche” – al momento nel decreto è solo offerta la possibilità di “liberalizzare” il wi-fi. Una vicenda che oggi vede il susseguirsi angoscioso di procedure di registrazione assurde (in particolare gli stranieri spesso devono effettuare dei pagamenti di 0 euro per identificarsi), procedure altrettanto assurde di autenticazione (ogni volta che si accede bisogna utilizzare il browser per effettuare l’accesso), copertura di rete insufficiente – senza parlare del problema della sicurezza dei dati sensibili (praticamente impossibile accedere a connessioni vpn).

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