Lorenzo Lavia: toglietemi tutto, ma non Teatro e vino rosso!
Romano, classe ’72, Lorenzo interpreta uno dei “ricercatori ricercati” in “Smetto quando voglio”, dal 6 febbraio nelle sale. Una chiacchierata sugli aspetti tragicomici della vita, sui vizi personali, alla scoperta di virtù e chiavi di lettura del film di Sydney Sibilia. E del futuro progetto teatrale.
di Valentina Palermi
Cominciamo parlando del presente. In “Smetto Quando Voglio”, Lorenzo interpreta Giorgio Sironi, un latinista di fama internazionale che per vivere lavora, sottopagato, in un distributore di benzina, gestito da un bengalese. “Un personaggio molto distante da me perché nella vita non sarei mai potuto diventare come lui! In latino non ero il primo della classe, questo è poco ma sicuro!”.
Probabilmente esasperando un po’ questo suo lato, “ho impersonato Giorgio con la testa tra le nuvole”, posto come “ogni vero studioso, fuori dalla bassezza delle cose terrene”. Insieme a Valerio Aprea, altro “umanista ricercato” del film, hanno visitato un centro a Roma in cui ricercatori provenienti da Paesi europei – come Francia, Germania o Spagna -, o da tutto il mondo – Giappone, America o perfino Corea del Sud – studiano e parlano solo latino. “Era un giorno in cui pioveva molto, e c’erano queste discussioni in latino sul fatto se fosse meglio passare per il centro o per il G.R.A., dicendo anche raccordo anulare in latino! Che se dovessi ripetertelo, ora non avrei idea!”.
Raccontare di Giorgio, è però impossibile senza considerare tutte le entità che costituiscono questa banda sui generis, con il neurobiologo Edoardo Leo come genio del crimine, e poi l’economista, il chimico, l’antropologo, e l’archeologo, costretti ormai a s-tentare di vivere ai margini della società.
Dopo anni di storie di “eterni Peter Pan”, ecco degli “uomini che hanno studiato una vita intera per fare quello che desideravano”, con la “volontà di progredire, di andare avanti”, ma la sfortuna di essere cresciuti nel nostro Paese. “Entrano nel mondo si rimboccano le maniche, facendo in modo che questa storia diventi paradossale. E comica”.
Che non si cominci a dire “Un film sulla crisi, per carità!”. Nel girarlo, il cast non ha fatto troppo caso a raccontare il problema del lavoro, per poi invece rivedere il film e accorgersi “di quanto in realtà la sua mancanza si senta. E’ un tema del film e si avverte come la situazione sia surreale, e come nel surreale la gente si riconosca”. Purtroppo coloro che “dovrebbero tutelare queste persone sono i politici”, i quali “non sempre è certo abbiano studiato abbastanza, essendosi dovuti occupare di altro […] Grandi politici e grandi intellettuali non coincidono”.
Si ride, e tanto, dall’inizio alla fine, tra parole che lasciano il segno, assistendo a una meta-inversione di ruoli. Quei bravi ragazzi che diventano braccia armate del crimine, all’interno di una “commedia che non va verso il nostro Paese, quanto invece è il nostro Paese che va verso la commedia”. “Anche ‘I soliti ignoti’ è sempre stata concepita come la classica commedia all’italiana, ma dietro c’era la sofferenza di chi moriva di fame, che comincia ad essere avvertita nuovamente”.
Convivono più chiavi di lettura naturalmente: quella della Critica, emersa fino ad oggi dalle anteprime, e che punta l’occhio su quello che un genitore vive mantenendo “il figlio quarantenne, nonostante sia un genio, poverino, ma non riesce a trovare lavoro”, o su quelli della nostra età, che “si riconosceranno per essere senza un impiego”.
Il pubblico potrà comunque notare altri significati, più o meno profondi, tra cui “quelli più giovani, dallo spirito universitario e dalla vita aperta, o quelli ancor più giovani che riconoscono citazioni delle serie tv preferite, come Breaking Bad”. Come sosteneva Giorgio Strehler, “lo spettacolo è diviso in tre scatole: una grande, una media e una piccola. Quella più piccola è ciò che conosce solo il regista, legata alla sua osservazione personale”. Nessun moralismo, ma ovviamente “il grande crimine non paga, e l’illecito non è tuttavia giustificabile”.
Di virtù e di vizi. Questi ultimi, in Lorenzo “hanno lasciato il tempo che trovano”, attraversandolo, ma adesso non lo divertono più. “Fumavo più di tre pacchetti al giorno e ho smesso da 7 anni. Non volevo, il medico mi disse di farlo”. Oppure era il fisico a chiederglielo, e il dottore si rivelò solo un pretesto. “Però sicuramente il vino rosso, se devo dire, è un vizio. […] Ma preferisco avere il controllo anche su quello”.
Il suo cognome tradisce le origini come figlio d’arte dell’attore e regista Gabriele Lavia, con il quale lavora molto spesso, e dell’attrice Annarita Bartolomei. O forse sarebbe meglio parlare di lui come figlio dell’arte, che lo appassiona sin da ragazzo, portandolo a recitare diretto da registi come Liliana Cavani, e ancora Maccarinelli, Missiroli, Negrin, Patroni Griffi, e nel cast di serie televisive cattura ascolti come Amiche mie, Don Matteo, La squadra, Perlasca. “Mi diverto a recitare in un film, così come per la televisione”. La concezione più “italiota” che vorrebbe che così non fosse, non fa per lui.
Tuttavia sulla scena di un teatro Lorenzo trova la sua dimensione artistica, e la mette alla prova: “a me piace fare quello che piace fare di meno agli altri, ciò che è meno desiderato, che porta meno popolarità.”. Nella commedia shakespeariana, con il successo come attore nei ruoli di Angelo in “Misura per misura” e Benedetto in “Molto rumore per nulla”, e a breve con il suo debutto alla regia con lo spettacolo “Il Vero Amico” di Carlo Goldoni.
Lorenzo racconta come in una sua lettera, il drammaturgo confessi quanto fosse difficile per lui, che aveva sempre fatto un “teatro di parola”, far comprendere all’estero i suoi testi, nonostante venissero in buona parte tradotti e messi in scena. Fu allora che decise di produrne uno incentrato più sulla “situazione”, e che nacque questa “commedia meno conosciuta, ma tra le più belle, oltre ad essere molto divertente… e alla quale mi sento legato”.
Insieme ad altri otto attori – “che per una compagnia privata, in Italia, è uno sforzo” -, Lorenzo reciterà su questo testo “molto profondo, perturbante”, che richiede quel lavoro intellettuale di preparazione che personalmente lo diverte tanto. A parte alcuni nomi sic
uri, si stanno svolgendo proprio in questi giorni i provini per i ruoli femminili, insieme alla scelta della futura protagonista.
Certo sembra essere il luogo della prima: Borgio Verezzi, nel savonese, E poi via, tra Roma e Milano. Anche se è “sempre l’ultimo a sapere le cose. Magari il giorno prima vai in scena al sud e poi devi farti 800 chilometri per raggiungere un’altra città. Ma mi piace stare in giro per l’Italia in tournée”. Dopotutto la sua vera dipendenza è il Teatro, “quella branca del mio mestiere che solo per passione si può fare” .
(fonte immagini: ufficio stampa ManzoPiccirillo)