NBA All-Star Game: trionfo Belinelli, ma il resto?
Epica prestazione dell’italiano, che conquista la gara del tiro da tre. Ma il weekend di New Orleans non convince
di Stefano Brienza
su Twitter @BrienzaStefano
Sì, è tutto vero. Un italiano ha vinto il Three-Point Contest 2014. Sembra ieri che sentivamo le urla insensate di Franco Lauro che nominava il paesino della “bassa” bolognese di San Giovanni in Persiceto ogni 15 secondi di telecronaca per coprire gli imbarazzanti silenzi dovuti all’incapacità di parlare propriamente di basket (in mezzo ad una serie di Ruvodipuglia, Santangelolodigiano, Cividaledelfriuli,etc.).
Sembra ieri che, fra Warriors e Raptors, la carriera NBA di Marco Belinelli sembrava essersi esaurita nel giro di qualche cesto miracoloso da metacampo (da sempre specialità della casa) e un po’ di garbage time. Sembra ieri che… SDENG!, recitavano le prese in giro su internet. Coerenti, visto l’atavico vizio del Beli di tirare da posizioni di equilibrio men che precario e di confezionare gare da percentuali infernali. Anche, a volte soprattutto, in maglia azzurra.
Capita. Come capita di vincere la gara del tiro da tre punti, unico europeo dopo Stojakovic e Nowitzki come si legge in tante celebrazioni della vittoria, ma anche ultimo di una serie di tiratori specialisti che non vanno dimenticati nell’albo d’oro, da Daequan Cook a Voshon Lenard (i più reagiranno con: chiiiiiiii?. Nessuna preoccupazione, è normale). D’altronde, insieme a qualche star che la maggior parte delle volte confeziona brutte figure – da Michael Jordan, peggiore prestazione di sempre nel 1990 con 5 punti totali, al Joe Johnson alla moviola di sabato notte – gli invitati sono semplicemente i migliori tiratori per percentuale della Lega.
Fu chiamato Gallinari, ha vinto Belinelli, che dopo un periodo di slump è sceso dal primo al quinto posto, ma con il doppio dei tentativi dei primi tre. Il quarto è Kyle Korver, lo specialista numero uno della categoria. La vittoria della gara vale una carriera, nel senso che il nome scolpito in pietra sull’albo non potrà mai essere cancellato. Rimane un divertissement, e un chicco di grano rispetto al credito che Rocky dovrebbe ricevere per i suoi miglioramenti costanti degli ultimi anni.
Ora è lui l’italiano più chiacchierato della Lega, così come lo fu durante gli scorsi playoff, quando mostrò i maroni in diretta mondiale come mai nessun nostro connazionale.Detto ciò, il weekend dell’All-Star Game che in Italia verrà ricordato ad imperitura memoria non è stato, chiaramente, solo l’ultimo carrello micidiale di Belinelli nello spareggione finale contro il giovanissimo fenomeno Bradley Beal.
In un articolo standard la prossima frase sarebbe “No: l’ASG di New Orleans è stato molto di più”. Ma lo è stato davvero? La verità è che, ormai da lustri, le partite di giovani e big sono diventate poco più che fabbriche di highlights del giorno dopo. Come da tradizione si difende solo negli ultimi 5′, offrendo scampoli del basket stellare che si gioca ogni giorno nella Lega. L’All-Star Game è una vetrina, capace di attirare milioni di potenziali fan che non hanno modo o voglia di seguire l’infinita regular season da 82 partite. Ma chi considera lo sport come una fiera e rispettosa competizione non può apprezzare più di tanto.
In più, i nuovi format degli anni ’10 del ventunesimo secolo stanno distruggendo la gloriosa storia del weekend delle stelle. La tendenza ricalca quella dei reality show con la concezione “a squadre”, in questo caso East vs West, ma la conseguenza sembra essere una netta diminuzione sia della spettacolarità (l’unica schiacciata di alto livello dello Slam Dunk Contest è stata questa del vincitore, John Wall, per il resto encefalogramma piatto) che, su tutto, della sana competizione fra i giocatori, resi complici quando dovrebbero essere acerrimi rivali (Mike vs ‘Nique, do you remember?).
Sottotraccia, è stato il primo All-Star Game dell’era Adam Silver, il nuovo commissioner che sostituisce dallo scorso 1° febbraio la leggenda David Stern, ritirato dopo 30 anni nei quali, da cinico avvocato, ha spesso applicato politiche thatcheriane ma ha portato la NBA all’élite della fama mondiale. Silver è un volto più umano e ha già fatto capire che fa colazione con pane e marketing, come d’altronde racconta il suo ricco curriculum. Ha anche dimostrato una certa elasticità, e di puntare tutto sui feedback degli appassionati per migliorare il prodotto. Dunque, speriamo che di lamentele ne arrivino parecchie, perché fra schiacciate tristi, manifestazioni collaterali di dubbio interesse e magliette della Fiorentina mascherate da Western Conference, quello del 2014 è sembrato un ASG pronto al declino.
La fredda cronaca: Kyrie Irving, classe ’92, play australiano dei Cavaliers, ex pick n.1 assoluta e Rookie of the Year, è stato l’MVP della partita dei grandi di stanotte con 31 punti e 14 assist, succedendo a Chris Paul. Carmelo Anthony ha battuto il record di triple messe a segno in un ASG con 8. Kevin Durant quello di triple tentate, 17 (!), ed ha registrato il suo quarto trentello di fila. Lui e Griffin hanno messo sul tabellone 38 noccioline a testa, ma a spuntarla nel finale è stata la Eastern Conference. L’età massima dei cinque partenti per l’Ovest è 25 anni; tolto Durant (in NBA dal 2007), nessuno degli altri quattro è entrato nella Lega prima del 2009.
La nuova generazione è qui e ora, insieme al nuovo commissioner. The times they are a-changin’…