La Svizzera chiude agli immigrati
Il referendum pro quote incrina i rapporti con l’UE: quale futuro per i negoziati?
di Sara Gullace
È una maggioranza debole, ma pur sempre una maggioranza, quella che ha scelto di mettere fine all’immigrazione di massa in Svizzera. Domenica 9 Febbraio, il Paese è andato alle urne per un referendum proposto dal partito antieuropeista dell’Unione democratica di centro.
Il 50,3% dei votanti ha deciso che è giusto mettere delle quote all’ingresso ed al soggiorno di persone non svizzere. Nel complesso, l’area francofona ha tendenzialmente votato contro l’iniziativa, mentre in Ticino e nei Cantoni di lingua tedesca la maggioranza ha votato a favore. La Svizzera è una nazione ricca e, forse, non è particolarmente rinomata per la sua accoglienza. Tuttavia rimane pur sempre uno sbocco lavorativo per i paesi limitrofi: sul suo territorio, si contano circa due milioni di stranieri, pari al 23% della popolazione.
La maggior parte degli immigrati, infatti, proviene dagli stati europei vicini – negli ultimi due anni soprattutto dai paesi dell’Europa del sud. Gli italiani sono i più numerosi, circa 290 mila. Presenti anche i tedeschi. La manodopera straniera è importante soprattutto nell’industria, il 37%, e nel terziario, per oltre il 26% dei posti di lavoro. E poi ci sono “i frontalieri”: 145.000 francesi e 65000 italiani che attraversano regolarmente il confine per lavorare nella repubblica elvetica.
Questa circolazione verrà, a questo punto, regolata e rivista: il governo dovrà presentare un piano di quote per l’immigrazione entro la fine del 2014 e trovare definizione legislativa in 3 anni. Un limite alla circolazione delle persone. All’entrare, all’uscire e al rimanere.
Ma cosa accadrà al mercato? Cosa ne sarà degli accordi di libero scambio che vigono tra Svizzera e Unione Europea dal 1972 e che si sono rafforzati e ridefiniti via via in tempi recenti? A tal proposito, il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz è stato chiaro: “non si possono trarre i benefici di un mercato interno libero e allo stesso tempo tenersi fuori su altri temi”. In linea, il ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn: “Non si può da una parte avere un accesso privilegiato al mercato interno europeo e dall’altra diluire la libera circolazione- sono due questioni legate”.
I negoziati vanno accettati in toto, se le frontiere sono aperte per ricevere opportunità, devono restarlo al momento in cui rappresentano un’opportunità. E per suffragare il concetto e rendere chiara la delusione, oltre alle parole, sono arrivati i fatti: subito bloccato il negoziato sull’energia elettrica, è stato anche congelato quello sul grande accordo quadro sul “trattato istituzionale” con la Svizzera che era previsto in settimana.
E’ evidente che se vorrà dare seguito ai rapporti con l’UE, Berna dovrà armarsi di buone motivazioni, oltre che di intenzioni, per rinegoziare e mantenere quanto raggiunto in passato. Al momento solo il consigliere federale Schneider-Amman sembra avere idee chiare sul da farsi per rassicurare le imprese estere: “Ora cerchiamo un sistema di contingenti quanto più possibile aperto e flessibile, che possa essere riconosciuto dall’Ue”.
Benché la vittoria sia arrivata per un soffio – spaccando di fatto il Paese – per il Presidente dell’Udc Toni Brunner è una soddisfazione: “I cittadini non ritengono che il governo sia in grado di risolvere i problemi dell’immigrazione” – ha spiegato – “gli svizzeri vogliono gestire per conto proprio l’immigrazione”.
Vincitori a parte, però, la sensazione generale è che la Svizzera abbia fatto un autogol per
il suo futuro commerciale ed economico. Sul fronte UE, il Commissario per la giustizia Viviane Reding ha dichiarato che ”la Svizzera non poteva aspettarsi di godere dei benefici del libero scambio con l’Ue, senza accettare la libertà di movimento”. Politically correct la Germania, che “prende atto del risultato del voto popolare e lo rispetta” – ha dichiarato il portavoce del governo Steffen Seibert, tuttavia preoccupata perché “Dal nostro punto di vista tale risultato costituisce tuttavia un problema considerevole”. Invece Cameron, che sta pensando a come definire il ruolo del Regno Unito nell’Unione europea, ”continuerà a sollevare la questione post-referendum con gli altri leader dell’Ue”. Il presidente di turno greco del Consiglio Affari generali dell’Unione, Evangelos Venizelos, in rappresentanza dei ministri degli Esteri e delle politiche europee, ha ribadito che le 4 libertà fondamentali su cui si fonda il mercato unico non possono essere prese “à la carte”, sono “indivisibili”.
Tra i fondamenti di cui si parla, prima di tutti, l’Accordo di libero scambio (ALS): concluso nel 1972 tra la Svizzera e l’Unione, ha creato una zona esente da dazi doganali per i prodotti industriali che circolano tra la Svizzera e gli Stati membri, a condizione che siano originari di questi Paesi. L’ALS rappresenta un pilastro delle relazioni commerciali tra la Svizzera e l’UE, che con i suoi 28 Stati membri rappresenta il principale partner commerciale della Svizzera. Nel 2012 circa il 56 % delle esportazioni svizzere erano dirette verso l’UE e, inversamente, il 75% delle importazioni svizzere provenivano dall’Unione europea. Nello stesso anno, la Svizzera rappresentava il terzo mercato di esportazione per le merci dell’UE, alle spalle degli USA e della Cina e si situava al quarto posto tra i partner commerciali dell’UE dopo Stati Uniti, Cina e Russia. Sul tavolo anche l’Accordo sulle assicurazioni (1989) e gli accordi bilaterali del 1999 e del 2004 che hanno rivisitato notevolmente i controlli doganali per gli oltre 20 mila mezzi pesanti che attraversano ogni giorno lo Stato.
In epoca di crisi, comunque, si consolidano i nazionalismi e non mancano le voci a favore: il Partito del Progresso, in Norvegia, ha chiesto ufficialmente di indire un referendum analogo a quello svizzero. Analogamente, in Austria, il leader del Fpoe, Strache si è detto convinto che il risultato sarebbe “simile”. Anche l’Italia razzista, chiaramente, non perde l’opportunità di ribadire che “Tutto il mondo difende la propria gente, stringe e chiude le porte. Tranne l’Italia, mi sembra un suicidio. Gli svizzeri difendono gli interessi svizzeri e fanno bene” nelle parole di Maroni.
La prossima sfida per gli elvetici sarà far digerire questi risultati all’UE, per rispettare gli accordi in corso e non far saltare i negoziati futuri.