Giornata Mondiale delle Malattie Rare: intervista a Renza Barbon Galluppi
Nella settimana dedicata alle patologie rare la Presidente di UNIAMO FIMR (Federazione Italiana Malattie Rare) ha risposto ad alcune nostre domande
di Graziano Rossi
su Twitter @grazianorossi
Trenta milioni di persone affette da malattie rare solo in Europa, divise in circa 6mila patologie diverse. Il 50% di queste patologie colpisce i bambini e 8 malattie rare su 10 sono genetiche. Nel Vecchio Continente mediamente è colpita meno di una persona su 2mila.
Anche nel 2014 il Rare Disease Day fa capolino nei media, con una settimana ricca di incontri, convegni e manifestazioni che culmineranno venerdì 28 febbraio, Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Su Ghigliottina ne abbiamo parlato anche lo scorso anno attraverso Facebook e Twitter. Quest’anno abbiamo intervistato Renza Barbon Galluppi, Presidente di UNIAMO FIMR onlus (Federazione Italiana Malattie Rare).
Il tema della settima Giornata Mondiale delle Malattie Rare, in programma per venerdì 28 febbraio, è “Uniti per un’assistenza migliore”. Che obiettivi ha la rete di associazioni che si è venuta a creare?
Gli eventi di sensibilizzazione sono molti e volti ad informare l’opinione pubblica su questo importante argomento di sanità pubblica. Una maggiore consapevolezza della tematica, comporta una maggiore disponibilità di tutti i portatori di interesse a mettersi in gioco, ad essere attori attivi e decisionali, programmatori di azioni condivise focalizzate al miglioramento della qualità della vita delle persone affette da patologie rare. Poi, se da un parte il tempo è nostro nemico, un ritardo diagnosticato può comportare importanti complicanze alla persona affetta da malattia rara, dall’altra diventa nostro alleato quando ci si deve scontrare con la realizzazione di azioni strategiche che necessitano di tempo per focalizzare dapprima i nodi e per poi scioglierli. È il caso del Piano Nazionale Malattie Rare.
In questi giorni sono tanti gli eventi promossi in tutto il territorio nazionale. Pensando al Piano nazionale Malattie Rare, secondo lei a che punto siamo, considerando che ad oggi il nostro paese sembra essere molto indietro soprattutto per quanto riguarda la tutela di chi è affetto da una malattia rara?
Grazie ai lavori di gruppo organizzati per la conferenza EUROPLAN, progetto europeo che nella prima parte (2009-2012) aveva come obiettivo quello di trasferire le raccomandazioni europee nei diversi Stati membri comprendendo quale fosse lo stato dell’arte di ciascun paese, si è discusso delle “migliori pratiche” , delle priorità emergenti e quali criticità ci sono da affrontare. Con la seconda parte del progetto 2012/2015 – anzi con il tempo si è trasformato il nome definendola “azione congiunta, joint action”, si sono volute mettere a sistema le azioni di governo (di management) che, anche grazie ad un glossario specifico si possano comprendere struttura della rete, i suoi nodi, i flussi informativi collegati ai registri epidemiologici, di programmazione e di malattia, uniti a un miracoloso unico codice di cui ne è titolare il paziente. Le responsabilità e finalmente anche le valutazioni delle azioni intraprese vanno verso una sempre più trasparente gestione dei servizi erogati. Servizi che devono rispondere ai veri bisogni dei pazienti, alle logiche della globalizzazione, offerti dal sistema di cura presente in ciascun Stato e tra loro collegati.
Per scendere poi nei particolari dell’accessibilità, della cura e della sua sostenibilità, per avere tempi di attesa di una diagnosi sempre più brevi, e che si stimolino sempre più gli operatori per una sensibilità maggiore al “sospetto diagnostico”. Proseguendo, l’individuazione di prestazioni rispondenti alla direttiva europea sulla “transfrontaliera” (mobilità del paziente), alla prevenzione con l’attuazione del comma 229 nella sezione “spese sanitarie” della legge di stabilità, che mette l’Italia in prima linea per l’individuazione di un panel di malattie rare metaboliche screenabili alla nascita e che la loro cura sia scientificamente provata e sicura, la stesura del percorso di presa incarico secondo le linee guida emesse dalla società scientifica interessata. Infine le azioni che possono essere intraprese finalizzate anche a informare e formare tutti i cittadini. L’obiettivo è che si possa sempre più parlare di “cittadinanza scientifica” e che i pazienti siano sempre più parte attiva del sistema e che partecipino ai lavori dei tavoli di coordinamento e concertazione di ogni livello.
Per il terzo anno l’agenzia giornalistica Osservatorio Malattie Rare (O.Ma.R.) ha organizzato un premio giornalistico volto a sensibilizzare i media sul tema malattie rare. Secondo lei perché si parla poco di queste tematiche?
Se ne parla poco perché si conosce poco. La conoscenza scientifica non fa ascolto e non interessa come invece lo fanno le storie che prendono emotivamente. C’è molto da fare. Di lavoro ce n’è per tutti. La strada giusta è quella dell’empowerment: azione sociale attraverso la quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita (fonte Age.Na.S).