Piazza Maidan nell’Ucraina divisa
Prosegue la ricerca dell’ex Capo di Stato Viktor Yanukovich in una Kiev desiderosa di un governo e di un’Europa interventista
di Martina Martelloni
Quello che è accaduto in Ucraina, terza per dimensioni delle repubbliche dell’ex Urss, resterà nella storia di ogni singolo cittadino ucraino – ma anche in quella di ogni individuo europeo o russo che sia. Piazza Maidan ha vinto, almeno per ora.
Dopo la fuga del contestatissimo presidente Yanukovich, i deputati ucraini hanno votato per un suo processo presso la Corte Penale Internazionale; un crimine pesa sulla sua schiena ed è la morte di troppe persone che in quella piazza hanno manifestato dall’autunno passato.
L’aver stracciato a sorpresa un accordo sicuro per l’associazione con l’Ue, preferendo un più ferreo ed imprescindibile legame all’amico Putin, ha evocato la rabbia e la delusione di un popolo stanco. Le tracce del vecchio gestore della politica ucraina sembrano invisibile agli occhi di tutti. Molti lo credono rifugiato in Crimea, quella terra filo-russo abitata dall’unica fetta di popolazione a lui affine, a lui fedele.
Capire la divisione sociale di un vasto Paese come l’Ucraina non è cosa così contorta e complicata. Proclamata l’indipendenza dall’unione federale rossanel 1991, la politica e dunque il popolo ucraino hanno continuato a sentire sul collo il fiato e la pressione russa. L’economia ed i poteri forti si sono giocati aspre partite sul campo delle elezioni, prima nel 2004 con la contestata vittoria del candidato Yanukovich, poi nuovamente nel 2006 con la sua elezione a Primo Ministro terminata l’anno successivo con l’ondata di cambiamento soffiata dalla coalizione filo-occidentale di Yulia Tymoshenko.
Nel 2010, però, è nuovamente Viktor Janukovich a vincere le presidenziali, un potere trattenuto fino ad oggi, costretto alla fuga e alla presa di coscienza di un governo fallito così come il suo popolo ha parlato chiaro.
Nello scenario attuale occorre aprire gli occhi e osservare anche le reazioni di quella Crimea ora ago della bilancia di un futuro incerto, vacillante tra Unione Europea e Russia. Donata dalla Repubblica Russa all’Ucraina nel 1954, la terra di Crimea è infatti abitata per il 67% da russi, per il 7% da tatari e solo per il 26% da ucraini. Ecco la spiegazione, seppur semplice ma reale, del contrasto interno al popolo ucraino.
Se si è fatta e si farà ancora una rivoluzione sotto il gelo di Kiev, lo si deve a tutti coloro che sentivano stringere come una morsa quel trattato di Amicizia e Cooperazione che dal 1997 vincola l’Ucraina a Mosca. Le aspettative e le promesse sono tante e buone; a partire dalla volontà russa di non avanzare nessuna pretesa territoriale nei confronti del confinante paese della rivoluzione arancione.
Che sia paura, o che sia puramente desiderio, Yanukovich aveva dalla sua parte diverse motivazioni che hanno giustificato il suo rifiuto dell’Occidente e, dall’altra parte, una più intensa vicinanza alla Russia: l’85% del gas ucraino viene dai russi, disposti a venderlo a prezzi irrisori; gran parte del debito estero si riversa proprio con Mosca che si è detta prontissima ad azzerarlo. Le offerte europee, nella concezione di potere chiusa nella mente del governo Janukovich, non sono in grado di competere.
I mesi di lotte, proteste, sangue e scontri che hanno calpestato Piazza Maidan, sono valse per lo meno a far emergere la volontà del popolo che preferisce entrare in un’Europa in crisi piuttosto che restare fuori in quella che loro chiamano “la rovina”.
Opporsi alla grande Russia fa paura a molti, e questo Viktor Janukovich lo ha sempre saputo, e lo sa per esperienza. Quei Paesi che si sono affiliati all’Europa hanno ricevuto piccoli o grandi schiaffi da Mosca, economici e diplomatici.
La nuova sfida si gioca ora sulla formazione del futuro governo chiamato a risollevare un Paese ferito ma orgoglioso, diviso seppur determinato e resistente alla rivolta. Uscita dal carcere dopo più di due anni, Yulia Tymoshenko sembra non avere le minime intenzioni di riafferrare di nuovo le redini del potere, si attende una sua decisione su una eventuale sua partecipazione alle prossime elezioni.
Nel vuoto di Piazza Maidan, altri nomi echeggiano come papabili premier; tra questi l’ex pugile Vitali Klitschko di Alleanza Democratica e il presidente del partito di estrema destra Svodoba, Oleg Tyaghninok. Seguono Mikhail Dobkin, capo dell’amministrazione regionale vicina alla Russia e infine il più gettonato ed acclamato Yatsenyuk, fedelissimo del partito Madrepatria dell’ex premier Tymoshenko.
Mentre l’attesa lievita, continuano gli scontri nella terra di Crimea dove risiedono i temuti “Bekrut”, le forze speciali di polizia del vecchio governo oggi ufficialmente smantellate su ordine del ministro dell’Interno.
Il prossimo 25 maggio, data delle elezioni, sembra un giorno così troppo distante per la fame di stabilità e ripresa di un Paese sul baratro della bancarotta, bisognoso di 35 miliardi di dollari ed inginocchiatosi per chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale in vista del voltafaccia che a breve potrebbe eseguire la Russia, colpita al petto da quell’Ucraina che Lenin definiva la testa di un corpo. E quel corpo proprio è la Russia di Putin.
Una risposta
[…] I fatti di Piazza Maiden, terminati con la fuga dell’ex presidente Yanukovich, proseguono lasciando strascichi che pesano sul futuro di un Paese pedina di molti giochi politici internazionali, carta vincente di potenti nazioni. La Russia è scesa in campo nella sua fedele Crimea, regione “russopensante” per eccellenza, contrastante con coloro che per mesi hanno reagito fino allo stremo delle forze nella capitale Kiev. […]