Il Venezuela vuole le dimissioni di Maduro
Migliaia di persone hanno rivendicato il diritto a nuove elezioni e alla libertà per il proprio Paese. Il governo di Maduro ha reagito con il fuoco: hanno perso la vita 18 giovani, centinai i feriti
di Sara Gullace
Le ultime settimane hanno irrigidito i già tesi rapporti tra il governo di Maduro, l’opposizione e la popolazione venezuelana. A un anno esatto dalla morte di Hugo Chavez, presidente per 14 anni consecutivi, il Venezuela è sconvolto da una rivolta sociale che conta 18 morti e 261 feriti. All’inizio di febbraio erano stati gli studenti di San Cristobal a scendere in piazza per manifestare contro l’attuale governo, puntando il dito soprattutto sul carovita e una criminalità dilagante che attanagliano il paese. Nel giro di qualche giorno, la protesta si è estesa anche a Caracas, con liceali e universitari a trascinare le fila. Il 12 febbraio la capitale ha visto i primi due morti e i primi feriti ad opera dei caccia della Guardia Nazionale e delle formazioni paramilitari autorizzate dal presidente.
L’obbiettivo dichiarato sono le dimissioni di Nicolas Maduro, in carica da un anno con una vittoria veramente impalpabile (solamente 1,5 punti percentuali sul rivale Henrique Capriles), che si trova a governare un paese sconvolto da problematiche economiche, sociali e politiche. In ginocchio per la crisi mondiale, in Venezuela l’inflazione è al 60% – e irreperibili sono diventati anche i prodotti alimentari di prima necessità come il latte e la farina, nonché i medicinali. La criminalità, invece, è un problema inaspritosi da almeno 10 anni a questa parte ma che sembra aver toccato il fondo con i 23 mila omicidi del 2013.
E le speranze di un miglioramento, di un futuro diverso, latitano ancor più delle materie prime, visto che ormai da anni il regime statale esercita un controllo sui mezzi di comunicazione a tal punto che oggi non c’è più una fonte di informazione indipendente, se non straniera. Ed anche in questo caso la censura è costante, come testimoniano la recente espulsione dei giornalisti della CNN ed il momentaneo arresto della fotografa italiana per terrorismo internazionale.
Del resto la stessa presenza di Maduro, nel ruolo di Presidente della Repubblica Bolivariana in Venezuela non è esattamente un esempio di democrazia e costituzionalità. Maduro, infatti, è un’eredità diretta di Chavez che lo indicò come suo successore alla Presidenza – carica che mantenne ad interim tra marzo ed aprile del 2013, quando vinse di un soffio le presidenziali, come abbiamo visto.
Davanti alle barricate dei manifestanti ed al fuoco mortale aperto in risposta, il Presidente non ha lasciato la sua posizione ma ha scaricato la responsabilità sul servizio di intelligence bolivariano: “Io stesso avevo dato ordine al Sebin di non dispiegare i suoi uomini in piazza” e ha convocato una conferenza di pace nazionale per “ritrovare il dialogo tra le parti”. Iniziativa sostenuta da alcune centinaia di manifestanti pro-governo scesi in strada una settimana fa ma boicottata dall’opposizione. “Futile” secondo Capriles che sottolinea come da Maduro ci si aspetti “che faccia marcia indietro. Si dimetta convocando nuove elezioni”. Capriles, di corrente centrista, ha preso le distanze dalla proteste di piazza paventando una repressione ancor più dura. Sempre all’opposizione ma di tutt’altro avviso è stato Leopoldo Lopez, politico di formazione economista del partito Voluntad Popular, finito in carcere con l’accusa di istigazione alla violenza e consegnatosi liberamente alle forze dell’ordine “in nome della libertà per il Venezuela”.
Per il Presidente, è in atto un colpo di Stato: “Questa non è una protesta – ha spiegato più volte nel corso delle ultime settimane – il Venezuela sta affrontando un colpo di Stato di natura fascista, una continua aggressione di stampo imperialista che vuole mettere fine alla rivoluzione e alla democrazia”. Ma all’interno dello stesso regime chavista si leva qualche voce di dissenso: Vielma Mora, governatore dello stato di Tachira, ha parlato di “reazione d’eccesso” nel domare la rivolta di San Cristobal. Esprimendosi a favore della liberazione di due carcerati politici: lo stesso Lopez e Simonivis, in prigione a seguito del golpe anti chavista del 2002. Per Vielma Mora, la scarcerazione sarebbe un segno di pace in una situazione di crisi politica ed economica.
All’esterno, la reazione delle Americhe alla crisi sociale venezuelana è contrastante e si misura proporzionalmente alla capacità degli altri Stati di dipendere da quello di Maduro. Uruguay, Ecuador e Argentina non intendono sacrificare le vantaggiose relazioni tenute in termini di provvigioni petrolifere per sostenere i diritti umani, stesso atteggiamento del Brasile che conta diversi investimenti in territorio venezuelano.
Gli Stati Uniti, invece, hanno colto l’occasione per congelare ulteriormente i rapporti annoverando il Venezuela nella lista nera nel Human Rights Report di questi giorni. Corruzione politica e progressiva ingerenza nel sistema giudiziale, abuso di potere delle forze dell’ordine e discriminazione nei confronti degli omosessuali sono presentati come tare nate durante l’epoca Chavez e perpetrate naturalmente in quella di Maduro. Per quest’ultimo, del resto, il sostegno degli Stati Uniti d’America alle rivolte sociali è un modo per ostacolare l’evoluzione della democrazia venezuelana come eredità di Cuba.
E mentre Maduro cerca di deviare l’attenzione con tre giorni di festività consecutivi per “godersi il carnevale”, il fronte studentesco non conosce sosta: “Non siamo stanchi – assicura il Presidente della federazione dei centri universitari, Juan Requesens – abbiamo preso un impegno con il Paese ed è il nostro stesso Paese che ci dà la forza di continuare a scendere in strada”.