La Spagna chiude la frontiera alla Giustizia Universale
Il governo approva una riforma per restringere l’accesso ai casi internazionali. La decisione è avvenuta dopo che i giudici spagnoli hanno emesso un ordine di arresto contro la cupola cinese per il genocidio nel Tibet
di Maria Bonillo Vidal
Contrariamente al suo stesso nome, la giustizia universale cesserà di essere tale anche in Spagna, un Paese che veniva preso ad esempio in materia di difesa dei diritti umani e giudizi contro genocidi, torture e altri crimini contro l’umanità. Un Paese nel quale Baltasar Garzón ha potuto giudicare il dittatore cileno Pinochet o nel quale si è chiesto l’arresto dell’expresidente cinese e della sua cupola per genocidio contro il popolo tibetano.
Precisamente, proprio quest’ultimo punto è stato determinante per la nascita della suddetta riforma – fatta in fretta e furia come disegno di legge e portata avanti con la sola maggioranza parlamentare del Partido Popular. Il concetto di giustizia universale serve ai tribunali nazionali per portare alla luce gravi violazioni di diritti umani perpetrati in qualsiasi parte del mondo – costituisce dunque una garanzia per la comunità internazionale nella protezione di tali diritti.
Nonostante gli ottimi risultati, questa legge universale in Spagna venne ristretta già nel 2009: fu la prima riforma del’articolo 23 della Legge Organica del Potere Giudiziario, secondo la quale i magistrati iberici possono aprire soltanto cause che abbiano un “qualche vincolo con la Spagna” – ossia, se gli imputati si trovino nel Paese Iberico o le vittime abbiano nazionalità spagnola. Ora, con questa nuova riforma, si possono indagare casi di genocidio solo se questi siano stati perpetrati ai danni di cittadini spagnoli.
Con la nuova legge, ad esempio, può sottrarsi al giudizio il governo degli Stati Uniti per la questione del giornalista spagnolo José Couso, morto durante un atacco nella guerra in Iraq. Oppure, come spera il governo di Mariano Rajoy, salterebbe il caso che vedrebbe imputato il precedente governo cinese e gran parte del partito comunista – non una questione ideologica, ma economica.
Già nel 2006, quando iniziò la causa per il Tibet, i portavoce del Partito Comunista cinese hanno dichiarato il proprio malcontento: “Speriamo che il governo spagnolo sappia risolvere questo conflitto, altrimenti il nostro rapporto sarà completamente alterato” – esclamavano apertamente i membri del Politburo. Dopo otto anni, il 10 febbraio scorso, il giudice Ismael Moreno ha emesso un ordine di arresto internazionale contro tutte le personalità cinesi accusate di genocidio e torture verso il popolo tibetano.
“La pressione è troppa, lo è stata sin dal primo giorno e lo è ancora oggi. Al governo cinese non piace che in Spagna vi sia un potere giudiziario intrapendente e fa pressioni sul governo spagnolo minacciando di far saltare gli accordi economici. La maggior parte del debito pubblico spagnolo lo compra la Cina” – ha dichiarato uno degli avvocati della causa, José Elias Esteve, professore dell’Università di Valencia.
Anche se l’ordine di arresto è arrivato all’inizio di febbraio e la riforma è stata aprovvata la settimana scorsa, non si sa ancora se questa avrà carattere retroattivo. Le cause internazionali aperte dalla magistratura spagnola sono dodici: una causa contro quattro membri delle SS per il genocidio degli ebrei, genocidio tibetano, genocidio nel Sahara, genocidio in Ruanda, omicidio di José Couso, morte dei membri di Falun Gong, i voli segretti della CIA nei quali si trasportavano illegalmente dei prigionieri per torturarli, assassinio di gesuiti in alcuni Paesi dell’America Centrale, l’attacco dei soldati israeliani all’imbarcazione “Freedom Flotilla” e, infine, l’attacco ai rifugiati nei campi dei profughi iraniani.