"EU 013 – L'Ultima Frontiera", il primo documentario sui CIE
Alla Camera dei Deputati la presentazione del film di Raffaella Cosentino e Alessio Genovese, con la presenza di rappresentanti politici e portavoce della causa per la chiusura dei centri che trattengono per mesi e mesi, spesso senza causa, i migranti senza permesso di soggiorno, violando ogni dignità e diritto umano
di Giulia Marras
su Twitter @giulzama
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.
Edmondo De Amicis – Gli Emigranti
Dopo varie presentazioni in giro per tutta Italia, finalmente il documentario EU 03 – L’Ultima Frontiera, primo resoconto audiovisivo della reale situazione dei Centri di Identificazione ed Espulsione italiani, è stato proiettato in un contesto istituzionale (la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati) nella mattinata del 5 marzo. Presenti i giovani (è giusto sottolinearlo) e neo-eletti deputati parlamentari Khalid Chaouki del PD, Celeste Costantino (SEL) e Tommaso Currò (M5S). L’introduzione alla proiezione è stata affidata alle loro parole, volendosi assicurare di aver preso a cuore, ma seriamente, la questione Cie e di volerla portare all’attenzione del Governo.
I Centri di Identificazione nascono nel 1998 con la legge Turco-Napolitano (inizialmente con il nome CPT – Centri di Permanenza Temporanea) con l’intenzione di contrastare l’immigrazione irregolare e quindi di “ospitare”, o meglio, trattenere gli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno, ex detenuti, richiedenti di asilo, e tutti i migranti in ingresso nel paese.
Con la successiva Bossi-Fini (2002), viene vietato l’ingresso agli organi della stampa mentre il periodo massimo di trattenimento passa da 30 a 60 giorni. Nel 2008, diventano 180, nel 2011 l’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni li porta a ben 18 mesi e ribadisce il divieto di accesso ai mezzi di informazione. Il documentario “L’ultima frontiera” è fondamentale in questo senso perché rappresenta la prima testimonianza diretta, autorizzata dal Ministero dell’Interno, delle reali condizioni di questi veri e propri centri di detenzioni per chi non ha commesso alcun reato.
Diretto da Alessio Genovese e scritto insieme a Raffaella Cosentino, il film dimostra quanto già trapelato dalle notizie con la famosa protesta delle bocche cucite nel CIE di Ponte Galeria a Roma: tempi di permanenza prolungati fino al massimo per lentezza burocratica, condizioni di vita non adeguate per cibo e sistemazioni, blocco dei contatti con l’esterno, nonché un abbandono dell’individuo a se stesso, nella vanificazione delle giornate in attesa disperata di un permesso o di un ritorno a casa.
“A livello centrale e politico non si sa ancora abbastanza di ciò che succede all’interno di questi Centri – sostiene Chaouki, noto soprattutto per le sue proteste a fianco dei trattenuti a Lampedusa nel dicembre scorso –, ma da adesso in poi vogliamo che aumenti l’impegno per migliorare le condizioni di vita”. Anche Costantino è fiduciosa, proprio grazie alle presentazioni del film diffuse su tutto il territorio italiano, ma anche all’estero. Tuttavia si rammarica dell’assenza di un Ministro dell’Integrazione nel Governo Renzi. Currò sottolinea invece come l’indifferenza pubblica e politica nasca anche dalla cultura improntata sulla logica (leghista?) della sicurezza, sulla paura del diverso e lo spettro dell’invasione straniera, e come sia necessario dare una svolta normativa concreta per un cambio ideologico, abolendo per esempio il reato di clandestinità.
L’obiettivo primario de “L’ultima frontiera” vuole proprio essere quello di risvegliare l’opinione pubblica, portarla a interrogarsi sulla necessità e sul senso reale dell’esistenza di questi centri, per poterli infine finalmente chiuderli. Non solo perché ledono IL diritto fondamentale dell’uomo, senza aver commesso alcun reato, non solo perché sono gestiti in maniera inefficiente e inefficace (meno della metà dei trattenuti viene effettivamente espulsa, e spesso dopo più di un anno di detenzione ingiustificata), ma anche perché hanno un costo altissimo per lo Stato (circa 80 milioni l’anno) che potrebbe essere altrimenti utilizzato per l’impiego di competenze e professionalità adatte allo studio dei casi particolari, delle istituzioni locali e delle autorità garanti.
Attualmente invece le figure più presenti all’interno dei centri sono quelle delle forze dell’ordine. Si tratta di “grandi gabbie vuote” come li definisce Alberto Barbieri, dell’associazione Medici per i diritti umani, durante l’intervento e il dibattito che hanno seguito la proiezione: “Dove non c’è nulla da fare e i servizi vengono meno, per questo è molto facile il prodursi dell’aumento della tensione all’interno di essi”.
Il documentario non manca di mostrare la depressione, la rabbia, la rassegnazione e il tormento delle persone rinchiuse, anche di chi ha vissuto in Italia per decine di anni, e ha pagato i contributi in questo paese; non mancano i momenti di conflitto con le guardie, non mancano le crisi, le rivolte, le violenze. Non sono mancati purtroppo casi di morte. Da lì, non è troppo lontana l’immagine dei campi di concentramento.
Infine anche Gabriella Guido, portavoce di LasciateCIEntrare, campagna ufficiale per la chiusura dei CIE, denuncia le attuali politiche discriminatorie, che non possono più valere in mondo globalizzato e moderno. La parola clandestino deve essere dimenticata. “Il problema naturalmente non è solo italiano, è europeo. La presentazione del documentario al Festival di Rotterdam ci ha dimostrato come anche all’estero il problema sia stato finora poco affrontato”, racconta Raffaella Cosentino, anche se l’Italia si differenzia per la sua particolare cattiva gestione dei migranti e dei tempi di trattenimento. “È il fallimento di tutto il sistema sociale”, conclude il regista, Alessio Genovese, “e naturalmente culturale. I CIE sono la perfetta rappresentazione del proibizionismo ideologico dei governi delle frontiere”.
Noi vi invitiamo a vedere il film, a visitare la pagina Facebook e firmare la petizione a favore della chiusura di questi centri. Mai più CIE.