Il freddo vento di Crimea
E indipendenza fu. Il Parlamento della Crimea ha espresso la volontà di distacco dalla grande Ucraina. Nel caos geopolitico, ritorna a parlare il presidente deposto Yanukovich, sicuro dell’ombra di Mosca alle sue spalle
di Martina Martelloni
In un solo giorno il vento proveniente dalla Crimea si è irrigidito drasticamente. Il Consiglio Superiore della penisola, corrispondente al Parlamento regionale, ha votato con l’unanimità l’indipendenza dalla “mai stata” sovrana Kiev. L’esito decisionale esorta un clamore generale che fa paura e fa tremare un governo centrale ucraino ad-interim fortemente debole di fronte alla Russia di Putin.
Definita incostituzionale dalla gran parte della classe politica di Kiev, la separazione della terra di Crimea che affaccia sul Mar Nero ha sorpassato qualsiasi tempistica dettata dalla gradualità normativa. E così, ad una settimana circa dall’avvio del referendum ufficiale per chiedere ai cittadini la volontà di unirsi a Mosca, oggi quel 60 per cento degli abitanti che si definisce di etnia russa ha prevalso sulla restante fetta di popolazione.
Eppure, è proprio in quella parte di minoranza che risiede lo scontro ideologico, etnico e religioso. Il 24 per cento dei cittadini di Crimea è ucraino, e poi ci sono loro, i tatari che ricoprono un pieno 12 per cento. La religione entra e fa la sua parte antagonista, i tatari sono musulmani e conoscono bene la diversità come causa di odio e discriminazione nel loro passato non troppo lontano. Nell “era Stalin”, vennero deportati in massa ben 200 mila tatari in Uzbekistan. Ecco che la paura di una minoranza etnica rispetto ad un temuto miraggio ancor lontano di un totale assoggettamento alla Russia che riporta in vita vecchi ricordi di un popolo affranto.
Tornando alle ore attuali, intrepide e veloci con il mutare degli eventi, sempre nella giornata di martedì 11 a Rostov sul Don, Russia meridionale, il fuggitivo ex presidente ucraino Yanukovich ha fatto la sua plateale ricomparsa con una conferenza stampa carica di orgoglio e di rammarico. “Io sono presidente”, questo il messaggio centrale e riassuntivo di chi si è sentito strappare il potere dalle mani in maniera illegittima, a parer suo e del suo protettore Putin.
Quelle che avverranno il prossimo 25 maggio, sono elezioni giudicate da Yanukovich “incostituzionali ed illegali”, lui solo è il detentore della carica di presidente ucraino, e tale deve permanere nei prossimi mesi e prossimi anni. Una esaltazione, la sua, che non trova piena conformità con le ultime parole dell’ accentratore Putin.
Costui sembra contraddirsi nel qualificare la rivoluzione di Piazza Maidan come un Colpo di Stato a danno del legittimo presidente ucraino, poi però si dice anche certo sull’incapacità dello stesso Yanukovich di portare avanti un Paese, di mantenere costante un consenso popolare ampio e sentito. Anche la Russia attende le prossime elezioni per la formazione del nuovo governo che presiederà a Kiev. L’attesa di Mosca si fa densa di tattiche e aspettative sui modi e tempi per tessere la propria tela di influenza sull’intera area.
Le prospettive future si dicono incerte e velate da tanti interrogativi su come e quando interverranno le potenze internazionali. La terribile ipotesi di guerra imminente tra Ucraina e Russia per ora sembra congelata dall’assenza di reazione difensiva di Kiev alle provocazioni di Mosca che dalla Crimea si fanno largo verso altre regioni dell’Ucraina.
L’atteggiamento assunto dalla sfera Occidentale è tuttavia inerme e limitato a rimproveri contro le azioni militari russe nella penisola di Crimea. Né la NATO e né tanto meno l’Unione Europea hanno preso finora in considerazione la possibilità di un intervento militare, anche perché questo significherebbe appicciare un fuoco inarrestabile in tutta l’Eurasia con conseguenze surreali per la Storia.
Quello che ci si è spinti ad annunciare, sono le minacciate sanzioni economico-diplomatiche a danno della Russia. Di questo si è reso portavoce il Segretario di Stato americano John Kerry che ha ben chiarito le intenzioni di brutale indebolimento della Russia dal punto di vista commerciale e degli investimenti all’estero.
Se si parla di economia russa, inevitabilmente compare la postilla Europa. Il florido carro d’oro di Mosca in gran parte è colmo grazie al diversificato e crescente mercato energetico con i Paesi dell’Ue, suoi adepti e elemosinatori di gas naturale. Ecco il tasto dolente, quello che rischia di far barcamenare i Paesi europei di fronte a pesanti sanzioni commerciali contro Putin, loro massimo rifornitore di energia.
La questione ucraina coinvolge ambiti, scelte e dinamiche molto più ampie e complesse della sola struttura politica interna. Le date del 16 marzo e, ancora di più, del 25 maggio segneranno sul calendario mutamenti storici non indifferenti. In questi miseri tre mesi però, potrebbe ancora accadere di tutto, e questo finché le tante voci contrastanti tra loro non troveranno sfogo e rappresentanza degna di loro e finché la Russia non compirà quel passo in più, o in meno, per scomporre la “linea rossa” e determinare le sorti dell’Ucraina.