"Non buttiamoci giù": una riflessione alternativa sul senso della vita
Arriva nelle sale giovedì 20 marzo il film tratto dal romanzo del celebre scrittore inglese Nick Hornby: quattro potenziali e atipici suicidi e l’inizio di un percorso inaspettato
di Alessia Carlozzo
su Twitter @acarlozzo
La riflessione potrebbe apparire scontata e banale ma anche l’adattamento cinematografico del celebre romanzo di Nick Hornby “Non buttiamoci giù” non riesce a convincere ed entusiasmare del tutto, rinsaldando l’idea forse a tratti troppo radical chic, per la quale da un ottimo libro non necessariamente nasce un ottimo film.
Parliamoci chiaro non si tratta di una pessima prova. Per chi è totalmente ignaro della figura e dei lavori di Nick Hornby, scrittore pop tra i più amati dalle ultime generazioni, “Non buttiamoci giù” risulterà una piacevole commedia con un cast di tutto rispetto aiutato da un soggetto decisamente originale. La storia infatti verte tutta su uno strampalato gruppetto di quattro persone che si incontrano, loro malgrado, in cima al tetto di un famoso grattacielo di Londra la notte di Capodanno. Tutti animati da un unico obiettivo per l’anno nuovo: suicidarsi gettandosi nel vuoto.
Poi si sa come vanno certe piani, preparati in modo più o meno certosino, falliscono in un attimo e la vita prende una piega decisamente diversa. Così Martin (Pierce Brosnan), Maureen (Toni Collette), J.J. (Aaron Paul) e Jesse (Imogen Poots) decidono non solo di non saltare più, ma di darsi nuovamente appuntamento su quello stesso tetto il giorno di San Valentino, altro giorno particolarmente apprezzato per i salti nel vuoto, e vedere se effettivamente qualcosa è cambiato nelle loro vite.
Inizia così per questa sgangherata e, a prima vista quanto mai male assortita, comitiva un viaggio che li condurrà tra molti alti e molti bassi verso una svolta totale nelle rispettive vite. Che poi è chiaro fin dalle prime immagine che l’happy ending è prevedibile quanto necessario.
Il film come già detto per molti aspetti funziona. Un ritmo divertente e sostenuto, tipico della commedia inglese che tanto ha spopolato negli ultimi anni, un’ottima colonna sonora firmata dal compositore italiano, già premio Oscar, Dario Marianelli e alcune performance degne di nota come quella di Toni Collette, nei panni della fin troppo pacata e piatta Maureen, madre di un figlio disabile, o della giovane Imogen Poots che regala forse il personaggio più complesso e fragile del film. Più bidimensionale la controparte maschile del cast. Pierce Brosnan intrappolato nella stessa mono espressione per tutta la durata della storia, un po’ gigiona, un po’ narcisa, o Aaron Paul che non convince fino in fondo nei panni del musicista tormentato.
Decisamente poco apprezzato il finale che si distacca decisamente da quello del libro, non tanto per il risultato finale, quanto per l’evoluzione dei personaggi totalmente sconvolta in favore di un happy ending prettamente cinematografico.
Ed è proprio qui che si cela il punto debole di tutto il film. Mancano quei dialoghi serrati e le battute pungenti che hanno reso il romanzo di Hornby un piccolo cult, e che caratterizza quella precarietà che accompagna tutti i personaggi in questo percorso alternativo verso il senso della vita.
Mancano le domande ma ancor di più le risposte e le conclusioni alle quali giungono, non senza penare un bel po’. Tutti i vari nodi dei singoli protagonisti vengono risolti in modo banale e scontato, privandoli di quel carattere grottesco, sopra le righe e irriverente che aveva catalizzato l’attenzione e l’affetto dei lettori.
Se è vero, come dice J.J che “la speranza distrugge” ecco sicuramente questa non è mancata ma il risultato non è stato pienamente soddisfatto.