Lavoro: dal salario minimo tedesco agli 85 euro in busta paga di Renzi
Pronta la legge sul salario minimo in Germania: la misura, 8,50 euro all’ora, entrerà in vigore l’anno prossimo
di Moreno Scorpioni
Una misura controversa, fortemente voluta dai socialdemocratici della SPd, che secondo molti economisti e industriali rischia di distruggere centinaia di migliaia di posti di lavoro.
La bozza di legge che introdurrà il salario minimo obbligatorio su scala nazionale è stata presentata questa settimana al consiglio dei ministri, che ne discuterà all’inizio di aprile, dalla responsabile del Lavoro, Adrea Nahles, socialdemocratica.
Nessun settore dell’economia sarà escluso dal progetto Nahles e non ci saranno differenze tra est e ovest visto che, soprattutto nella parte orientale di Berlino, sono molti i lavoratori che percepiscono una paga oraria inferiore ai 8,50 euro.
I numeri – A essere interessati dalla riforma saranno circa il 20% dei lavoratori della parte orientale della città mentre, su scala nazionale, la cifra si aggira attorno al 14%, coinvolgendo circa 5 milioni di persone, secondo calcoli dell’istituto di ricerca Ifo. L’allarme viene proprio dagli economisti dell’Ifo che calcolano una potenziale perdita di 900mila posti di lavoro di cui 600mila part-time svolti sotto la soglia minima da stabilire. Gli industriali lanciano l’allarme “competitività a rischio”, il 56% della popolazione, quella della cosiddetta “economia reale”, esulta per una misura a costo zero per il Governo che finalmente tutela quella che, nata come competitività, si è sviluppata poi negli anni in svilimento della dignità del lavoratore e rilancio al ribasso del costo del lavoro.
Basta spostare la virgola di un decimale verso destra per trovare la “stessa” misura in Italia: «dal primo maggio prossimo, chi ha un reddito di 1500 euro al mese, dipendenti o co. co. co., percepirà mille euro netti in più all’anno» ha dichiarato il premier Renzi. I destinatari dell’intervento che taglia le tasse, precisa, sono coloro che hanno un reddito di 25 mila euro lordi l’anno. «Circa 85 euro netti al mese per 10 milioni di italiani», sottolinea il premier, osservando che «i destinatari del nostro intervento non sono solo i ceti meno abbienti, ma anche un po’ di ceto medio.»
Una misura che lascia da parte precari, stagisti, tirocinanti e l’esercito delle partite iva, modalità di “collaborazione” sviluppata in vera e propria forma di lavoro subordinato che ha da tempo fatto del contratto un arcano (per non parlare di quello a tempo indeterminato, vera e propria chimera). Una proposta che non rilancia i consumi, contrariamente a quanto sostiene il premier, che non rimette in moto l’economia del lavoro e che lascia da parte lo scoglio del cuneo fiscale, vero ostacolo da superare per far sì che le aziende tornino ad assumere. Ma si tratta di una proposta per rilanciare l’economia (ir)reale del Paese o di uno slogan da campagna elettorale con le europee alle porte?
(fonte immagine: http://www.mlon13.com/)