Lo Stato della follia: la discarica sociale dell'Italia
Torniamo a parlare degli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, che di psichiatrico hanno ben poco. Il docu-film “Lo Stato della follia” racconta la vita all’interno di queste strutture
di Francesca Britti
su Twitter @FBritti
“Chi lascia l’uomo nella sua colpevolezza, chi lo scolpisce dentro di essa, non è molto diverso dal colpevole stesso”, diceva il Cardinal Carlo Maria Martini.
Nel 1978 il governo approva una legge che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici. Gli OPG non rientrano però fra questi, che rimangono aperti fin quando nel 2010 la Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale, supportata da un reportage di Francesco Cordio, decide di effettuare dei controlli nei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari sparsi per l’Italia: Aversa e Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto a Messina, Castiglione delle Stiviere a Mantova (l’unico in cui sono ospitate anche le donne), Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino. In totale gli internati sono circa 1.500.
Il Presidente dell’allora Commissione Ignazio Marino, oggi sindaco di Roma, commentò con dure parole le condizioni igienico-sanitarie di queste carceri: “Gli OPG sono una discarica sociale dove coloro che dovrebbero essere curati e riabilitati, vengono rinchiusi e dimenticati”.
La prova è data dalle testimonianze di coloro che ci vivono in questi ospedali/carceri. “Io vengo dai paesi di guerra. Quelli sono talebani e si vede, questi sono talebani mascherati. Non capisco quale sia la vostra democrazia”, racconta uno degli internati, tunisino di origine siciliana. “La differenza è qui ti uccidono piano piano”, sentenzia. Un altro racconta che i poliziotti sono violenti e approfittano dei pazienti. Altri che vengono imbottiti di farmaci senza controllo medico e se non assumi medicine viene legato al letto di coercizione.
Un anno fa parlammo su Ghigliottina degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, citando una data, quella del prossimo 1° aprile, giorno nel quale queste strutture avrebbero dovuto chiudere. Si può pensare che questi “pazzi” viaggino con la mente e inventino storie. Che siano pericolosi e sia giusto tenerli rinchiusi. L’indagine ha, però, confermato le testimonianze. Soprattutto riguardo l’aspetto sanitario. Mancano, come il documentario “Lo Stato della follia” di Francesco Cordio mette in luce, i bisogni elementari dell’essere umano: la salute, la cura e la dignità del malato. In sostanza manca il diritto alla vita presente nella Dichiarazione dei Diritti Umani. Pericoloso o no, il malato deve essere curato, non abbandonato.
L’esistenza degli OPG può essere sorprendente per qualcuno, specie se confusi con i manicomi, chiusi da più di 30 anni. Come nascono gli OPG? Lo psichiatra Vittorio Andreoli spiega che chi commetteva un delitto ma senza consapevolezza era dichiarato incapace di intendere e di volere e per questo non poteva essere punito, rispetto a chi, invece, era consapevole del reato commesso.
I primi andavano allora rinchiusi in quelli che furono chiamati Ospedali Psichiatrici Giudiziari. In “ergastolo bianco”, come venne soprannominato, si finiva per due requisiti: la commissione di un reato e la pericolosità sociale. La durata delle misure di sicurezza variavano: da due a cinque anni fino a dieci. Potenzialmente potrebbero durare all’infinito se lo psichiatra dichiara l’internato ancora socialmente pericoloso. C’è chi, scontata la pena, è rimasto internato anche 20-30 anni in più.
Quello che si evince, quindi, è che gli OPG non sono “posti di cura ma fabbriche della malattia. Matto sei, matto rimani”. Ed è proprio su questo punto che la Commissione Parlamentare ha indagato affinché si facesse luce sulle terapie somministrate ai pazienti. E si scopre allora che “le modalità di attuazione osservate dagli OPG lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate, e in alcuni casi, lesivi della dignità della persona”.
Il 14 febbraio 2012 il decreto che proponeva la chiusura degli OPG diventava legge e venivano disposti finanziamenti speciali di 120 milioni di euro nel 2012 e 60 milioni dal 2013 per la realizzazione e riconversione delle strutture, mentre 38 milioni di euro nel 2012 e 55 milioni dal 2013 per l’assunzione del personale. Il decreto necessario per l’utilizzo delle risorse da parte delle Regioni è stato emanato solo il 7 febbraio 2013 quindi il termine ultimo per la chiusura delle strutture, previsto per il 31 marzo 2013, è stato prorogato al 31 marzo 2014. La conferenza delle Regioni nel gennaio 2014 ha richiesto un’ulteriore proroga al 1 aprile 2017.
“Lo Stato della follia”, mai titolo fu così emblematico. Francesco Cordio nel suo documentario esamina, con una telecamera nascosta, lo stato d’animo umano in primis e quello psichiatrico poi, dei detenuti o internati. Ha raccolto con delicatezza ed efficacia, senza mai essere compassionevole, le storie di molti uomini, giovani o anziani, che riempiono quelle stanze sporche e piccole, in cui nulla c’è di riabilitativo. Si trascorrono giornate tra sigarette, caffè e chiacchiere. E a volte risate, che sono quasi frenate dai poliziotti penitenziari, ricorda uno dei pazienti Luigi Rigoni, un attore che fa da narratore nel docu-film. Come se provare a vivere normalmente la propria vita facendosi una risata sia sintomo di un altro reato, di qualcosa di punibile.
La memoria degli italiani è corta, si sa. Serve ogni tanto rinfrescarla. Il cinema serve anche a questo e l’opera di Cordio ha proprio questo potere. Far diventare consapevoli non solo i politici ma anche noi cittadini comuni, di un sistema sanitario decadente in cui i “matti”, come vengono chiamati, “ci hanno preso a sganassoni. Non con le mani ma con le loro storie. E ci hanno fatto male”. A coloro che hanno resistito alla “vita” sfociata poi in una liberazione, perché di liberazione si tratta, e a coloro che nel suicidio hanno trovato la loro via di fuga dagli OPG è dedicato il film perché, come canta Daniele Silvestri a loro in fondo serve solo una cosa: Aria.