13° edizione del Riff, il Festival di Roma del Cinema Indipendente
Al Cinema Aquila del Pigneto le nuove visioni cinematografiche indipendenti, italiane e internazionali, tra impegno sociale e sperimentazione. Una grande successo di pubblico per le voci fuori dalle grandi produzioni e distribuzioni
di Giulia Marras
Si è conclusa questa Domenica 23 Marzo, la XIII edizione del RIFF, Rome Independent Film Festival, che dal 16 Marzo si è tenuto per una settimana al Nuovo Cinema Aquila del quartiere Pigneto di Roma, il quale per l’occasione si anima non solo per la movida notturna ma anche per il suo contesto culturale che continua a crescere di anno in anno, al di là della fama da malavita e traffici illegali.
Anche quest’anno, come anche le edizioni passate, il Riff si propone come una vetrina di visioni filmiche nuove, innovative e indipendenti, nonché di giovani registi emergenti, al di fuori delle dinamiche di produzione e distribuzione delle major. Soprattutto in momenti di crisi economica, laddove la cultura dovrebbe essere uno dei settori più aiutati, ma non lo è, necessitano sempre più spazi per di-mostrare il lavoro creativo indipendente, che è poi esattamente ciò che riesce a ringiovanire e rinnovare il linguaggio cinematografico, e più in generale, artistico. E senza ghettizzazioni o snobismi, la rassegna non è solamente dedicata ai giovani autori italiani, che comunque si ritagliano un meritato e ampissimo spazio, ma anche agli sguardi internazionali, che aiutono e stimolano il confronto e il dibattito tra diverse culture e visioni.
Con la solida direzione artistica di Fabrizio Ferrari, il festival ha infatti aperto con l’americano Return to Zero, lungometraggio diretto da Sean Hanish, basato sul dramma familiare della morte perinatale e prodotto grazie ai fondi privati delle numerose coppie colpite da questo tipo di lutto tramite il crowfounding. Oltre a Return to Zero, in concorso sono stati selezionati altri titoli e storie coraggiose, tutte opere prime, tra racconti di malattie, come La herida (La ferita), osservazione analitica di una ragazza autolesionista affetta da disturbo bipolare, o il polacco The Girl From the Wardrobe, film vincitore della sezione Internazionale, sull’amicizia tra una donna misteriosa e un inquilino del suo palazzo con la sindrome di Savant, lasciatole in affidamento dal fratello, e racconti attualissimi di giovani alla ricerca di un’identità, di una professione e della felicità, come Tempo Girl, dall’estetica modernissima e dall’ispirazione di una generazione “della crisi”, sperduta come quella attuale.
Tutti film al femminile, si, come recitato dalla presentazione ufficiale, ma tutti girati da uomini: uno spunto di riflessione sulla direzione del cinema attuale che sembra proseguire da tempo, ma che potrebbe anche iniziare a cambiare.
Come Miglior Film della sezione italiana invece, si ritrova un ex aequo tra Sogni di gloria, di Patrizio Gioffredi, e Ci vorrebbe un miracolo di Davide Minnella.
Particolarmente interessante, e importante, la ricchissima sezione dedicata al documentario, sia internazionale che italiano, pregna di temi socialmente e culturalmente essenziali (i campi profughi della Cisgiordania in Since I was born, le prigioni afgane per donne in No burqas behind bars, proclamato Miglior documentario internazionale, o la resistenza civile turca in Witnessing Gezi, tra i lavori esteri): colpiscono soprattutto le opere di giovani ragazzi italiani che si sono spinti a girare, e a fare ricerca, in terre lontane, come Wangki – Il silenzio delle sirene sul dimenticato popolo sudamericano Miskito o Iriria – Niña Terra, Menzione Speciale del Festival, girato in Costa Rica. Anche se poi a vincere la sezione sarà Happy GoodYear di Laura Pesino e Elena Ganelli sulla fabbrica di pneumatici Good Year che dagli anni ’60 ha causato ai suoi operai centinaia di casi di cancro ai polmoni.
E infine non bisogna dimenticare l’inesaurabile sezione dei Corti, pilastro del Festival e importantissima occasione per i giovani filmmaker per mettersi alla prova per la prima volta con il grande schermo; così come le sezioni per gli addetti ai lavori per sceneggiature e i soggetti. Tutto valutato e giudicato da una giuria d’eccezione, tra cui Ania Trzebiatowska, direttrice del Fesitival polacco di Cinema Indipendente di Cracovia, il poeta e regista Armando Suárez Cobián, il montatore Benni Atria (per Chiesa, Marazzi, Bertolucci, Benigni).
A chiudere il Festival, quest’anno accompagnato anche da una mostra fotografica su Via del Pigneto con i migliori scatti dai backstage dei film in concorso, il primo documentario sulla vita e sulla carriera di Franco Battiato, Temporary Road – (una) vita di Franco Battiato.
Il Rome Independent Film Festival è così uno degli appuntamenti fondamentali per il pubblico romano e soprattutto per mantenere viva un’indipendenza cinematografica, che non solo significhi, low-budget o scarsa distribuzione, ma soprattutto libertà di sperimentazione.