La stretta morsa di Erdogan
Come uno scacchiere da gioco, proseguono strategie e tattiche politiche-militari del presidente turco. Dopo il blocco del social Twitter, l’instabile dibattito parlamentare e la crisi con la Siria di Assad fanno da sfondo alle prossime elezioni amministrative
di Martina Martelloni
Il premier islamico Recep Tayyip Erdogan torna a far parlare di sé e del suo ego spropositato nei confronti di un Paese simbolo di progresso e visione futura come la Turchia. Le proteste di Gezi Park, divenute simbolo di lotta e ribellione sociale, sembrano aver lasciato tracce e strascichi di insoddisfazione e contrarietà nei riguardi di un governo avvolto da scandali e accuse di corruzione.
Il timore di perdere di mano la situazione ed il controllo sociale, nonché il più ricercato potere politico, questo è stato lo sparo d’avvio per la corsa ai ripari del presidente Erdogan. Dai primi segnali di instabilità, ha avuto inizio una campagna intimidatoria per via mediatica e comunicativa, esplosa attraverso il blocco di uno dei più noti e diffusi social network mondiali. I follower di twitter in Turchia sono all’incirca 10 milioni, ognuno dei quali in una consueta mattina di fugace condivisione comunicativa tramite i famosi “cinguettìì”, hanno trovato ad accoglierli una porta chiusa, blindata dal volere governativo.
L’abuso a danno della libertà di comunicazione, è avvenuto per mano della autorità per le telecomunicazioni turca Btk, ampliata dei suoi poteri con l’approvazione di una legge sul controllo di internet nel mese passato.
Ci si chiede il perché di tale atto di silenzio forzato e voluto dal premier, e la risposta sta nelle sue stesse parole pronunciate nell’immediato di fronte al suo popolo e per via indiretta davanti agli occhi ed alle orecchie di tutta la restante parte del globo. “Sopprimeremo twitter, non mi interessa quello che potrà dire la comunità internazionale” – una frase dal forte tono rancoroso di chi si è visto macchiare reputazione ed orgoglio dalle ultime diffuse notizie di sotterfugi politici, di una “tangentopoli” ottomana che proprio nel libro bianco di internet ha trovato campo libero da seminare.
Le minacce su di un intervento soppressivo a danno dei social network, erano già nell’aria da giorni. Eppure in pochi o forse nessuno aveva dato credito ad un probabile comando autoritario. Neppure il presidente Abdullah Gul sembra aver apprezzato la decisione, quando si è visto impossibilitato nell’esprimere liberamente, sul web, una sua parola, pensiero, opinione.
Il disappunto, seguito da numerosi rimproveri da parte di Stati Uniti ed Unione Europea è stata coronato dalle Nazioni Unite con un appello per la rimozione del divieto sull’utilizzo di Twitter. Motivo centrale è la contrarietà del blocco del social network con le leggi internazionali, e per voce di Rupert Collville dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’Onu, si è espresso che “gli stessi diritti che le persone hanno offline, devono essere protetti anche online”.
La sfrontatezza del premier turco Erdogan si manifesta in tutta la sua floridità proprio nei giorni dell’attesa per le prossime elezioni amministrative previste per il 30 marzo. Il governante Partito per la giustizia e lo sviluppo, in sigla AKT, potrebbe risentire delle ultime fragilità-scandalo interne alla struttura e che coinvolgono parte dei membri spalleggianti il premier Erdogan.
Lo scenario intestino della Turchia, non è il solo a creare tremori nell’area circostante. Si torna infatti a vacillare con la confinante Siria, in profonda guerra civile oramai da troppo tempo, e che si è vista abbattere un caccia militare nei cieli sotto il nome della Turchia. Il velivolo era in piena attività di guerra contro un gruppo di ribelli nei pressi di Kassab, provincia di Lattakia, al confine con la patria della porta d’Oriente, una linea divisoria che il primo ministro Erdogan ha considerato tentativo di invasione del suo territorio, della sua sovranità. La violazione dello spazio aereo turco da parte del jet siriano ha giustificato l’abbattimento definito da Erdogan come “una risposta dura”.
Non sono pochi, dunque, i movimenti discutibili e impregnati di potere soffocante da parte di un leader al governo da ben 12 anni. I risultati che usciranno dalle elezioni del 30 marzo potrebbero davvero cambiare qualcosa in seno alla classe politica della Turchia, soprattutto con un crescente malumore popolare ed una discesa economica dell’intero Paese dal 2012 ad oggi.
2 risposte
[…] La lotta politica dal digitale si fa reale e prende corpo in proteste fatte di carne ed ossa aventi come protagonisti i cittadini oppositori del governo Erdogan, coloro che già dai primi spogli elettorali sono scesi in strada manifestando dissenso e frustrazione, fino a perdere la vita. Sono 8 le vittime degli scontri nonché una ventina di feriti. […]
[…] nelle strade, il crescente malcontento popolare. E’ difficile dire se i fatti di Gezi Park, la soppressione temporanea dei servizi on-line come Twitter e YouTube, gli scandali che hanno investito il partito, possono essere giustificati come mezzi necessari per […]