Bankitalia attacca: «Segnali di ripresa ma la rigidità delle parti sociali frena lo sviluppo»
Per Visco la ricetta per poter superare la crisi economica c’è ma il problema sta tutto nella parti sociali. Dalla sua, Camusso (CGIL) risponde: «Vecchie proposte che hanno già fallito. Attaccarci oggi va di moda»
di Moreno Scorpioni
Il manifesto del governatore di Bankitalia Visco arriva dal palco di Bari, di fronte alla Confidustria riunita: «La sfida per le imprese è di realizzare il salto di qualità di prodotto e di processo, che le porti a essere più grandi, più tecnologiche, più internazionalizzate così da agire quali incubatrici di una delle più rilevanti dimensioni di capitale umano: la capacità di innovare. Il rafforzamento del capitale delle imprese può facilitare una più intensa attività innovativa».
Sull’impasse economica e riformista in cui il nostro Paese verte da tempo, Visco sostiene che «siamo tutti responsabili, chi per non avere agito, chi per avere agito male». Sullo sfondo, ma neanche più di tanto, la polemica con i sindacati: «È la stagione in cui i colpevoli sono le imprese e i sindacati, perché va di moda. E c’è un entusiasmo di massa nel trovare questi colpevoli» sono le parole del Segretario Generale della CGIL Susanna Camusso che non si ferma di certo al Jobs Act, ritenuto una ricetta già sperimentata e fallita.
Sotto accusa, secondo Visco, la rigidità eccessiva dei sindacati che frena la svolta riformista nel nostro Paese. Parole che sono valse il plauso di Matteo Renzi ma che hanno generato un vespaio di polemiche non solo con la CGIL ma anche con il numero uno degli industriali, Giorgio Squinzi. Corso ai ripari Visco ha cercato di raddrizzare il tiro, assicurando che le sue parole non avevano niente a che vedere con il dibattito sulla flessibilità e sul mercato del lavoro, ma erano legate a un’analisi più generale dello stato delle cose.
Certo è che oggi, come in passato, non manca la consapevolezza degli interventi da fare, ma le azioni congiunte di politica e corpo sociale sono apparse insufficienti rispetto al bisogno. Certo, l’immobilismo degli anni 2000 paragonato a quello degli anni ’70 ha prodotto conseguenze nettamente diverse, passando dall’inflazione di allora al ristagnamento economico di oggi. Tuttavia le parole di Guido Carli, ai vertici della Banca d’Italia dal ’60 al ‘75, «sono una analisi efficace – analizza Visco – anche per leggere la situazione odierna. La nostra economia ha subìto una ferita: né l’impulso della spesa pubblica, pur se orientata nelle direzioni più congrue, né l’espansione creditizia, pur se attuata con coraggio, varranno, da soli, a restituirle vigore».
Il fronte di battaglia è quanto mai aspro, visto che si sta per entrare nel vivo della discussione del Jobs Act, che ha tenuto banco anche nell’incontro Renzi/Obama. Ma secondo l’ex viceministro dell’Economia del governo Letta Stefano Fassina, il Jobs Act così com’è rischia di non passare, perché spalanca le porte a una maggiore precarietà.
«Ne parleremo col ministro Poletti cercando di gestire insieme le modifiche, ma se il sistema non dovesse funzionare la decisione passerà al Parlamento» spiega Fassina, che seppure appartenente a una minoranza interna al PD gode di una larga condivisione sulla tematica lavoro.
Il monito sembra essere abbastanza chiaro per il Premier che, qualora dovesse vedere respinta la riforma del lavoro, potrebbe rischiare la testa. Ma d’altronde era stato lo stesso capogruppo della Camera del PD a spiegarlo a chiare lettere al ministro del Lavoro: «I numeri non ci sono».
Uomo avvisato…
(Fonte immagine: http://www.lettera43.it/)