Un cervello, un cranio e una sedia della tortura al Primo Festival della Narrazione
Il “cantastorie” Ulderico Pesce racconta la storia dell’anarchico lucano Giovanni Passannante al pubblico del Teatro Eutheca di Roma
di Angela Telesca
Cosa ci fa il cervello di un anarchico in una bacheca museale?
È lì che vanno a finire gli ideali sociali e politici di un uomo del Sud dell’Italia che nel 1878 chiedeva pane, lavoro, terra ai contadini, strade, scuole, ospedali e tribunali per la sua terra, la Basilicata? Nella bacheca del Museo Criminologico di Roma in Via del Gonfalone visitabile per soli 2 euro?
Nell’ambito della prima edizione di Narratori – Festival della narrazione, ideato e curato da Giancarlo Fares, che stiamo seguendo su Ghigliottina dalla scorsa settimana, Ulderico Pesce racconta la vita dell’anarchico lucano, tra commozione, lampi di atrocità e momenti comici, a una platea variegata ed estremamente attenta, rapita come da una interessante lezione di storia, con il suo monologo dal titolo L’innaffiatore del cervello di Giovanni Passannante, in scena alTeatro Eutheca di Roma.
Raccontare nel vuoto scenico “storie di altri ad altri” confrontandosi con la Storia è la cifra stilistica di molti narr-attori e, oseremmo dire, è l’urgenza che la scena avverte per rifondarsi ritornando ad essere spazio della comunità.
Il contastorie lucano sceglie un’affabulazione semplice, sobria, genuina, sporcata da inserti dialettali che alleggeriscono la storia di una vita vissuta tragicamente. Chiudendo gli occhi ci si dimentica di essere a teatro e ci si proietta davanti ad un caldo fuoco del camino ad ascoltare i racconti di un saggio zio. La narrazione quasi arcaica procede lenta, spesso con accelerazioni violente ed emozionate.
All’apparenza improvvisata, non studiata, precaria, ricerca, solo la relazione con l’ascoltatore e la legittimazione della sua funzione di testimone della Storia. Tante le ripetizioni che fanno pensare ad una certa formulazione epica, indizio di una composizione orale che è aiuto per la memoria del narratore e per l’ascolto del pubblico, che deve dipanarsi nel racconto di tre storie.
In contrasto alla placida narrazione c’è il veemente invito del narratore lucano che, dalla scena, spinge all’impegno civile e al recupero del patrimonio storico-culturale e della memoria, denunciando fatti e misfatti della storia e della politica abbinando ad ogni suo spettacolo una petizione che coinvolge il pubblico a partecipare alla sua lotta, convinto della necessità di fare dell’azione scenica una reazione sociale.
Autore, attore e regista delle sue performances narrative, Ulderico Pesce sembra aver compreso la lezione rivoluzionaria de Il Manifesto per un nuovo teatro di Pierpaolo Pasolini che scrive “Venite ad assistere alle rappresentazioni del teatro di parola, con l’idea più di ascoltare che di vedere […] per comprendere meglio le parole che sentirete, e quindi le idee, che sono i reali personaggi di questo teatro”. Quello dei narratori, come Pesce, è un teatro di parole e di immagini da evocare, di corrispondenti percezioni visive, foniche e corporee che nasce da ricerche di fonti documentarie e storiche.
L’attore appare inaspettatamente dalla platea, presentandosi come Mario, l’ingenuo giovanotto lucano che grazie alla raccomandazione di un politico abbandona la sua terra e il sogno di fare il musicista e diventa carabiniere a guardia della bacheca che contiene il cranio e il cervello di Passannante al Museo Criminologico di Roma. Mario è il protagonista e il narratore della propria storia, ma, grazie alla capacità di entrare ed uscire dal proprio personaggio, tipica della narrazione drammatizzata, dà vita e voce agli altri due personaggi: il proprietario di quelle ossa e la sua amata Lucia.
Mario dichiara di essere l’innaffiatore di un cervello e angelo custode delle ossa di un uomo di cui non sa nulla e così comincia il racconto del giorno che gli cambiò la vita, rompendo il grigiore di un lavoro alienante: il 22 dicembre, quando, impeccabile nella sua divisa ordinata e attento alla pulizia degli oggetti da custodire, in attesa della visita del Presidente della Repubblica, incontra Lucia, una bellissima attrice appassionata alla vita del proprietario di quel cervello.
La narrazione della noiosa routine della vita del carabiniere è un pretesto drammaturgico per raccontare la vita del proprietario di quel cervello che Mario innaffia e custodisce, indifferente.
L’incontro con Lucia è l’espediente che permette, attraverso Mario, di farci conoscere la tragica vita di quelle ossa, resti del corpo di un anarchico che il 17 novembre del 1878 attentò alla vita di Umberto I di Savoia in visita a Napoli in nome della rivoluzione dei lavoratori. Scopriamo una drammatica storia di miseria, di soprusi, di lotta di classe, di violazione dei diritti umani. Non un omicidio, ma un atto dimostrativo con un coltellino utile a sbucciare una mela, per destare attenzione politica su un Sud affamato e abbandonato, deluso dall’Unità, causò all’anarchico torture infernali, atroci pene fisiche e psichiche, che una metallica sedia della tortura, sola in scena accanto alla bacheca con cranio e cervello, evoca attraverso le parole di Mario che a tratti diventa Passannante.
Brividi.
Il racconto d’amore di Mario per Lucia si intreccia al racconto della vita dell’anarchico fino a scomparire per lasciare spazio alla narrazione del vero protagonista: all’isola d’Elba, in isolamento assoluto, incatenato in una minuscola cella a 10 metri nelle viscere del mare a Portoferraio, diventa cieco, ridotto a larva, malato di scorbuto, costretto dalla fame a cibarsi dei propri escrementi, lì l’anarchico sopravvive per dodici anni prima di essere trasferito al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove muore nel 1910. Il suo cranio trapanato e il suo cervello furono utilizzati per gli studi lombrosiani e conservati dal 1936 nel Museo Criminologico romano in quanto esempio di cranio geneticamente criminale.
Non puoi non pensare, che dopo più di un secolo, ancora oggi, negli OPG non sempre si respira pietas, rispetto e dignità per l’essere umano.
Passannante, non degno di sepoltura, è un nuovo Polinice, in attesa dell’ Antigone collettiva che lotti per la legge eterna della sepoltura. Dai palchi di tutta Italia e dell’estero, dal 2001, ricordando la sua storia, Ulderico Pesce ha scosso l’opinione pubblica per restituirgli la dignità della sepoltura nella sua terra natia e l’11 maggio 2007 hanno seppellito quel che restava in bacheca così come prefigurato dall’azione scenica di Mario e Lucia.
Questa è una delle battaglie portate sul palcoscenico dell’impegno e vinte dal teatro civile di Pesce attraverso uno spettacolo, che è intima rievocazione di quella storia delle idee di un uomo, simbolo di un sud affamato che si ribella e delle condizioni disumane del regime carcerario dell’epoca. interessa raccontare perché la memoria non si cancelli.
Ulderico Pesce da qualche tempo ha intrapreso la strada della solitudine scenica, un teatro di denuncia che si avvale dell’arte della narrazione per attivare la reazione sociale e riabilitazione del patrimonio storico-culturale mediterraneo.
Il risultato drammaturgico è una miscela originale e appassionata, un’affascinante teatralità domestica, originaria, che vive delle tecniche della narrazione orale meridionale.
Il prossimo appuntamento al Teatro Eutheca è con Racconti incivili dell’associazione Teatro delle Viti, dal 4 al 6 aprile.