La rivalsa politica di Erdogan
Le elezioni amministrative in Turchia incoronano di nuovo il partito AKP come vincente. Il premier esulta di fronte ad un popolo diviso ed in costante protesta
di Martina Martelloni
Soddisfazione e rabbia macchiata d’orgoglio, questo è il messaggio che trapela dall’espressione dura e cruda del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan affacciatosi dal balcone della sede dell’AKP. I risultati delle ultime elezioni amministrative lo confermano come figura preferenziale in un paese che da molti mesi è afflitto da manifestazioni, polemiche e proteste interne ad una società non totalmente appagata dalla politica autoritaria del leader in sede di Palazzo.
I numeri hanno confermato una superiorità del partito al governo rispetto all’opposizione repubblicana del CHP, un 47% contro il 27% su base nazionale. Seguono poi i nazionalisti del Mhp al 14,6% e la minoranza curda rappresentata dal partito Bdp al 5%.
Le grandi città di Istanbul ed Ankara hanno tenuto in perenne suspance ed attesa milioni di cittadini prima di trapelare l’esito finale che anche qui ha visto prevalere l’AKP. Eccezione fatta per Smirne e gran parte della costa dell’Egeo fino ad Antalya, la restante parte del Paese resta numericamente fedele ad Erdogan.
“Oggi è nata una nuova Turchia. Questo è il giorno del matrimonio con la nuova Turchia”, così esulta il premier amato e contestato in egual misura. Questa vittoria, da molti dubbia per i presunti brogli avvenuti in diversi seggi, smaschera tutta la sua imponente rivalità contro un’opposizione considerata vecchia e non salutare per il Paese. Erdogan intende estirpare i suoi avversari e questo lo ha affermato chiaramente rivolgendosi a coloro che definisce “traditori della nazione”, destinatari del suo avvertimento più forte: “pagheranno per quel che hanno fatto”.
I riferimenti agli ultimi scandali ed accuse nei riguardi di diversi membri del AKP nonché a danno del premier stesso, non sono puramente casuali. La diffusione di diversi documenti aventi ad oggetto intercettazioni su casi di corruzione interne al partito al potere, è divenuto motivo di scontro ideologico digitale.
Erdogan ritiene che i colpevoli di tale diffusione sul terreno fertile del web, sia ad opera di due account attivi su Twitter e Youtube facenti capo a Fethullah Gulen, uno studioso turco di grande influenza mediatica che risiede negli Stati Uniti e che si è reso creatore di un movimento islamista composto per lo più da alte cariche della magistratura.
La lotta politica dal digitale si fa reale e prende corpo in proteste fatte di carne ed ossa aventi come protagonisti i cittadini oppositori del governo Erdogan, coloro che già dai primi spogli elettorali sono scesi in strada manifestando dissenso e frustrazione, fino a perdere la vita. Sono 8 le vittime degli scontri nonché una ventina di feriti.
Chiuse le urne, i 50 milioni di turchi chiamati al voto fanno sopravvivere un governo in crisi di consenso. Elezioni amministrative che verranno ricordate più per il sangue versato che per i reali risultati finali e ancor meno per la cantata vittoria di Recep Tayyip Erdogan, che ancora una volta non è esime dalle accuse di poca chiarezza svelate dalla plateale titubanza di un’opposizione che afferma l’esistenza di una “sporca manipolazione” di numeri.