I Corpi Estranei: nei cinema il secondo film di Mirko Locatelli
Mirko Locatelli ha presentato il suo secondo lavoro al Nuovo Cinema Aquila: la storia di un padre e il rapporto con il figlio gravemente malato, ambientato nei non-luoghi di un ospedale, diventa un film politico, attraverso l’incontro con un giovane immigrato
di Giulia Marras
“Facciamo fatica a fare cinema.”
Esordisce così Mirko Locatelli alla presentazione del suo secondo lungometraggio di finzione, dopo Il primo giorno d’inverno (2008) e diversi documentari, al Nuovo Cinema Aquila. Continua infatti l’impegno del cinema del Pigneto nella proposta di film nati dallo sforzo di piccole produzioni, e senza un degno riconoscimento da parte delle grandi case di distribuzione.
Locatelli, in questo senso, è un ottimo esempio di vera indipendenza artistica: aggira il meccanismo delle lobby cinematografiche, auto-distribuendosi, con la propria casa StraniFilm, che si aggiunge al lavoro di produzione della Officina Film: “da soli siamo riusciti ad ottenere 22 sale, mentre forse con una major ne avremmo avute solo 10”. Si fatica quindi, ma non per questo si deve smettere di fare del cinema, soprattutto in questo momento, storico e culturale, in cui il cinema in Italia sembra essersi ancorato alle leggi di mercato, alle sue storie standard e i soliti nomi noti di richiamo per il pubblico e per il botteghino.
La passione e l’impegno del regista milanese si incontrano con quelli della moglie Giuditta Tarantelli, co-sceneggiatrice e produttrice de I Corpi Estranei, e compagna artistica di tutto il lavoro di Mirko. Lavoro che si intesse continuamente nel sociale, producendo e distribuendo opere sempre ancora alla realtà, anche se non necessariamente documentaristiche, tra disabilità, lavoro, scuola, o l’adolescenza come nel caso del penultimo film.
I Corpi Estranei si muove volontariamente tra fiction e documentario tramite la scelta stilistica di pedinamento continuo e ravvicinato del protagonista Filippo Timi e il rapporto molto stretto del regista con i suoi attori, che inizia mesi prima delle riprese per portare sullo schermo una (non) recitazione, compressa, epurata da ogni eccesso.
La sinossi è semplice: Antonio (Timi) è un comune uomo del Sud costretto dalla grave malattia del figlio Pietro a recarsi in un ospedale di Milano per le cure. Qua incontra un giovane ragazzo tunisino, Jaber (l’esordiente Jaouher Brahim), in visita di un amico. Nei non-luoghi delle corsie dell’ospedale, del parcheggio e di un mercato notturno, i due hanno modo di confrontarsi dalle estremità opposte dei luoghi del mondo e pensiero dal quale provengono.
Da questa micro-relazione si giunge a parlare di un Paese in crisi, come ammette lo stesso Locatelli, della difficoltà di riporre fiducia nel prossimo, delle incomunicabilità, del pregiuzio verso lo straniero, della “guerra fra poveri”: elementi che affiorano da una sceneggiatura scarna ma essenzialmente reale, scritta nel lungo arco di 4 anni e contaminata da ciò che succede nella vita sociale e privata, affrontando piccole e diverse linee narrative che restituiscono un quadro naturalista. “Il film è nato e cresciuto piano piano, basato su ciò che accade in periferia, dove io e Giuditta viviamo, e dove vediamo svilupparsi le contraddizioni del nostro paese che volevamo raccontare, tra immigrazione, lavoro nero, mala sanità.”
Non si tratta infatti di un film sulla malattia di un figlio, o meglio non solo, ma sulla solitudine di due corpi, tre con il piccolo Pietro, distanti, migranti, estranei. La malattia è un pretesto per raccontare l’uomo in un ambiente, l’ospedale, dove è depurato da ogni sovrastruttura e svelato nella sua natura. Una natura di diffidenza e pregiudizio quella di Antonio, di fede e bravate quella di Jaber.
Formalmente, I Corpi Estranei si compone di lunghi e numerosi piani sequenza, legati indissolubilmente a Timi, presente, per scelta del regista, in ogni scena del film: seguito spesso di spalle, sempre a un metro di distanza, la visione e la selezione delle inquadrature sono quindi affidate ai suoi movimenti. Una focalizzazione che comporta delle conseguenze anche a livello narrativo, e lo spettatore non può che sottomettersi al punto di vista del protagonista, sia visivo che umano (cadendo anche nella trappola del pregiudizio). “Mi interessa l’idea di scegliere un tipo di realtà in continuo movimento, a uno sguardo reale, anche se incompleto, probabilmente a causa anche della mia condizione fisica (Locatelli è tetraplegico, ndr), alla difficoltà degli spostamenti, alle visioni mancate”.
Timi dà una prova sensibile di un padre, dal forte accento umbro, amorevole, (corpo) leggero, ma anche spaventato e debole. Il regista racconta che il lavore dell’attore è stato messo alla prova anche dal doppio rapporto che ha dovuto instaurare con i due gemellini che impersonavano Pietro: “abbiamo lavorato su tempi e riprese molto lunghi, in modo che Filippo potesse trovare un modo per relazionarsi con i bambini. Davo l’azione quando iniziava a essere il papà, non l’attore”.
Ulteriore nota meritevole è la colonna sonora dei Baustelle; una collaborazione nata dopo l’ascolto di Mirko e Giuditta di Fantasma, l’ultimo album della band la quale ha sempre lavorato con sonorità cinematografiche, soprattutto in quest’ultimo concept album. “Con Fantasma ci siamo ritrovati tantissimo, è un disco che non guarda in faccia a nessuno e va dove vuole. Ci siamo innamorati particolarmente del brano Il Futuro e del suo coraggio, come quello di parlare di chemioterapia per esempio. Abbiamo fatto leggere la sceneggiatura a Bianconi e abbiamo scelto insieme le versioni strumentali dei brani Il Futuro e Radioattività che avevano registrato con la Film Harmony Orchestra di Breslavia.”
Realizzato con il supporto di Fondazione Magica Cleme, I Corpi Estranei è, a detta di molti, un film “europeo”, molto vicino allo stile dei fratelli Dardenne. Lo è, e in questo senso è anche un film politico, volendo segnare un cambio di registro importante e necessario nel cinema italiano, da più punti di vista: stilistico, tematico, narrativo ed economico.