I pittori dell’800 inglese in mostra a Roma
Fino al prossimo 5 giugno il Chiostro del Bramante ospita “Alma-Tadema e i pittori dell’800 inglese”: circa 50 le opere esposte, provenienti dalla collezione di Juan Antonio Pérez Simòn
di Francesca Romanelli
“La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna. Non può essere interrogata: regna per diritto divino”.
La bellezza, come la descrive in queste righe Oscar Wilde, è la regina incontrastata dell’universo estetizzante di fine ‘800, l’ideale puro verso cui tende una parte dell’arte europea fin de siècle e, come tale, è anche la protagonista dell’esposizione “Alma-Tadema e i pittori dell’800 inglese” in corso al Chiostro del Bramante fino al prossimo 5 giugno.
Un cinquantina le opere esposte, provenienti dalla collezione privata del messicano Juan Antonio Pérez Simòn, che si offrono allo sguardo lungo un percorso che guida lo spettatore in un crescendo di percezioni visive e olfattive, di suggestioni estetiche e floreali. La “bellezza” ideale viene rincorsa e profusa in ogni tela, in ogni pennellata e assume le forme incantevoli e sensuali di personaggi mitologici, eroine letterarie classiche o medievali, streghe e femmes fatales dal fascino inquieto.
I capolavori sono espressione dei maestri dell’Aesthetic Movement e dell’arte preraffaellita, da Lawrence Alma-Tadema e Friederick Leighton a Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais. Un universo elegante e nostalgico in cui l’arte reagisce alle tendenze puritane del periodo vittoriano rifugiandosi nel mito della classicità greco-romana o in raffinatissimi riferimenti letterari ai drammi shakespeariani e alle leggende nordiche. Senza dimenticare i soggetti ricchi di suggestioni orientali, tanto cari al pubblico nel momento di massima espansione dell’impero britannico in Asia e Africa.
A dominare sono le figure femminili, simboliche e leggiadre ambasciatrici della bellezza, spesso seminude e delicatamente erotiche o ammantate in sete tenui e preziose, realizzate con una precisione quasi “tattile”. È il caso delle fanciulle impegnate in delicate scene d’amore nella Pompei ideale di Alma-Tadema, o il nudo lievemente ombreggiato dell’Andromeda di Edward Poynter: emblemi di una sensualità appena accennata sullo sfondo di lussureggianti paesaggi fioriti o di ricchissimi interni, rappresentati con fine ed elegante pertinenza archeologica.
Un vero e proprio trionfo dell’estetica che raggiunge il suo culmine nell’ultima sala, dove il visitatore viene guidato da una scia di petali installati sulle pareti scure fino al grande capolavoro di Lawrence Alma-Tadema “Le rose di Eliogabalo”. Una tela di grandi dimensioni che rappresenta i banchetti del corrotto imperatore romano, secondo la leggenda perverso al punto di voler sommergere i propri commensali con tali quantità di petali di rosa da causarne la morte per soffocamento. Lo sguardo si perde inevitabilmente sui dettagli dello sciame rosato dei fiori, che occupa gran parte dell’opera, una miriade di precise e perfette pennellate che suggeriscono l’impressione di poter toccare ciascun petalo e persino di sentirne il profumo.
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