Il fiume del rimbecillimento: la banalizzazione del linguaggio politico italiano
Che ne è della politica che si fa pensiero, analisi, approfondimento e dibattito? Il linguaggio politico italiano vive un momento di grande impoverimento, a favore di una comunicazione sempre più preconfezionata, superficiale, banale e retorica
di Marco Assab
La comunicazione politica, parimenti alle tecnologie mediatiche, si è evoluta nelle forme e nei contenuti nel tentativo di raggiungere, rendersi comprensibile ed attrarre, un numero sempre maggiore di elettori. Con il tramonto delle ideologie nella loro forma granitica, fideistica, il mondo politico italiano si è avviato verso una fase nuova, dove le differenze si sono attenuate e i confini tra una formazione politica e l’altra sfumati. In questo contesto piuttosto confuso la possibilità di captare voti in maniera “trasversale” ha indotto i politici a semplificare e generalizzare sempre di più il loro modo di comunicare, fino ad arrivare ai giorni d’oggi dove assistiamo ad un drammatico impoverimento dei contenuti, ad un ricorso costante a slogan, frasi preconfezionate, che scadono in un banalismo che risulta quasi irritante.
Sgomberiamo il campo da un primo possibile equivoco: non abbiamo nostalgia di quei discorsi pomposi, solenni, seriosi, infarciti di fioriture e finezze lessicali, tipici del secondo dopoguerra. Tuttavia, se richiamassimo alla mente del lettore figure come Enrico Berlinguer, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giorgio Almirante, il paragone che scaturirebbe con gli attuali leader politici farebbe davvero rimpiangere il passato.
I palcoscenici preferiti dai politici di oggi per sventagliare frasi come “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”, “abbiamo tenuto i conti in ordine” oppure “è necessario fare insieme le riforme che servono al Paese”, sono i talk show. Ne abbiamo uno ogni sera, dal lunedì al venerdì. Molti telespettatori (compreso chi vi scrive) assistono a questi pollai nella speranza (vana) di terminare la serata maturando una migliore comprensione dei temi in discussione, di arricchire il proprio bagaglio informativo personale. Spesso invece si finisce per guardarli più per esigenze di intrattenimento che di informazione. Questi programmi sono l’espressione migliore del cosiddetto “infotainment”, l’informazione che si fa spettacolo, intrattenimento per l’appunto.
Buona parte della responsabilità di questo decadimento contenutistico (non soltanto linguistico) risiede nell’operato dei media. Spettacolarizzazione, sensazionalismo, drammatizzazione, narrativizzazione, hanno trasformato giornali e tv italiane in megafoni che producono solo rumore… tanto rumore per attrarre quanta più attenzione possibile. Coniamo sul momento una metafora: un uomo urla a squarciagola in un megafono, tutti in piazza si girano e lo guardano domandando “che c’è?” e l’uomo al megafono risponde “niente”: è comunque riuscito nell’intento di farli girare e di farsi guardare. Questa è buona parte dell’informazione di oggi. Per intenderci è la stessa che il giorno dopo l’elezione di Papa Francesco mostra in quasi tutte le prime pagine dei giornali il virgolettato fantascientifico “Vengo dalla fine del mondo”, quando le parole del Papa non erano affatto state queste.
Frasi come “dobbiamo uscire dall’euro per ridare speranza agli italiani”, “dobbiamo garantire la governabilità”, “rischiamo di mettere in ginocchio il Paese”, od ancora interminabili discussioni sulla “agibilità politica” di Silvio Berlusconi (quando proprio non riusciamo a capire cosa intenda Forza Italia in maniera specifica con questo termine) sono ormai entrate nel nostro viver quotidiano e si fondono tramutandosi un costante fiume che scorre lungo le valli desolate del rimbecillimento pubblico.
Enunciati di questo tipo andrebbero benissimo per introdurre un dibattito, il quale poi andrebbe ben approfondito, ad esempio: l’uscita dall’euro per ridare speranza; bene, ma cosa accadrebbe nel concreto se si ritornasse alla lira? Si parli dunque della svalutazione, si spieghi che cos’è ai cittadini, al pericolo della perdita di valore dei patrimoni, indagando i dettagli del problema, tentando di render VERAMENTE partecipi anche i cittadini meno acculturati ed informati dei temi più delicati e scottanti.
Ultimamente poi va di moda il termine “golpe”… I politici lo usano di continuo in maniera del tutto impropria ed irritante. Grillo parla di golpe quando viene rieletto Napolitano, Forza Italia definisce golpe la riforma Delrio sulle provincie… basta, il popolo italiano vi implora: basta. La parola golpe vuol dire tutt’altro: è un termine spagnolo che indica un “colpo di stato”, ossia un’azione violenta e fuori dalla legalità volta a sovvertire un ordine costituito, un regime. Insomma non c’entra proprio nulla con la realtà politica vissuta in questo momento in Italia.
Caso poi tutto italiano, tipico della nostra informazione, sono le brevi “interviste” che vanno in onda durante le edizioni dei telegiornali. Appare il faccione del politico di turno contornato da molteplici microfoni, 15-20 secondi di spot elettorale, retorico e scocciante, con l’immancabile sfondo dei banchi parlamentari. Sono dichiarazioni registrate che spesso al primo tentativo vengono male, quindi interrotte e rifatte quasi come fosse un’opera di finzione cinematografica, il linguaggio è teatrale, superficiale, banale, infarcito di slogan vuoti.
Chi vi scrive non ama la dietrologia, quindi vedere in questo un’opera cosciente e voluta di rimbambimento culturale dei cittadini sarebbe eccessivo. Piuttosto è da rilevare come si assista non solamente ad un impoverimento del linguaggio, ma anche all’emergere dei grandi limiti della politica odierna intesa come governo, amministrazione. Per intenderci è quella che si occupa solo della gestione del presente, che opera nell’emergenza continua, che non sa proporre visioni di lungo corso, che non dice quasi mai “oggi faccio X per avere Y nel 2020, 2021, 2022”. Un linguaggio povero dunque per una politica povera di idee, visioni ed azione.
Nella speranza che queste non restino solo riflessioni di nicchia, di una minoranza intellettuale, ma diventino spunti di riflessione per ripensare radicalmente il modo di comunicare con i cittadini italiani, per finire rimaniamo in attesa di capire cosa voglia dire il termine “moderati”, oppure frasi del tipo “dobbiamo costruire una forza che riunisca tutti i moderati”, chi sono questi “moderati”? Che diamine significa?
(fonte immagine: http://www.lospiffero.com)