Giornalismo e verità: Francesco Zizola ospite dell’Università di Roma “La Sapienza”
Il fotoreporter romano, vincitore di sette riconoscimenti World Press Photo, ha raccontato agli studenti le basi della sua professione ed i cambiamenti in atto nel giornalismo visivo
di Giulia Mirimich
Francesco Zizola, il fotografo italiano vincitore del World Press Photo of the Years nel 1997, conosciuto a livello internazionale, lunedì 14 aprile ha incontrato gli studenti del corso di laurea magistrale “Editoria e Scrittura” dell’Università “La Sapienza” di Roma. Il tema dell’incontro è stato fondamentalmente il rapporto tra giornalismo e verità, o meglio, tra fotogiornalismo e verità.
Zizola, fotogiornalista professionista dal 1986, ha innanzitutto introdotto il concetto di informazione visiva. “Qual è il primo esempio storico di informazione visiva?”, ha domandato rivolgendosi agli studenti.
Le grotte con i graffiti, ha spiegato, sono state una forma primitiva di proto giornalismo e non di proto arte, poiché la funzione di quei disegni era quella di dare delle indicazioni, dunque di informare.
Attraverso il giornalismo è possibile quindi sapere e conoscere ciò che accade lontano o vicino a noi: è possibile dare vita a quella che Zizola chiama “mappa di informazioni”, supportata da un linguaggio visivo. C’è un momento in cui il giornalismo visivo inizia ad essere rilevante tanto quanto quello scritto: con l’invenzione della fotografia. Essa viene infatti adottata come strumento per la creazione di questa «mappa» ma soprattutto per verificare la veridicità degli accadimenti narrati. La fotografia diventa così rilevante proprio per tale peculiarità: mostrare il nesso tra un fatto e la verità di esso.
Dunque la fotografia entra appieno nel mondo della comunicazione e diventa più affidabile dell’uomo stesso. Ad oggi è ancora così? A questo punto il fotogiornalista introduce un ulteriore elemento: il concetto di manipolazione dell’immagine. Possiamo ancora attribuire alla foto quell’originaria funzione di prova? La risposta, suggerisce Zizola, è positiva. Si può ancora parlare di una fotografia strettamente legata alla realtà perché tale relazione è insita nell’onestà di chi la produce.
È qui che sta la differenza fondamentale tra un semplice fotografo ed un fotogiornalista. Quest’ultimo infatti deve attenersi ed osservare una serie di codici deontologici ed etici. Un fotografo può servirsi di tutti i mezzi a sua disposizione, manipolazione inclusa, mentre il fotogiornalista non deve mai venir meno al patto di credibilità che ha con il suo pubblico. I suoi lettori devono essere sempre messi in condizione di capire cosa stanno guardando.
Ciò ovviamente non significa che il fotogiornalista non possa praticare fotomontaggi o dilettarsi con Photoshop o con altri programmi, ma che ha il dovere di dichiararlo per rispettare e non ingannare il proprio pubblico.
Zizola cita a questo proposito casi di fotogiornalisti che hanno infranto questo patto di credibilità, persone premiate per i loro scatti e che poi si sono rivelate ritoccate o montate, ai quali i premi sono stati ritirati e che, di certo, non hanno dato prova di professionalità ed eticità.
Infine, si rivolge direttamente ai suoi interlocutori e spiega come questo tipo di giornalismo visivo abbia un futuro basato sulle nuove risorse: le piattaforme di condivisione e, più in generale, il web. Riporta una statistica delle Nazioni Unite secondo la quale il numero di cellulari e smartphone superi di gran lunga il numero delle persone sulla superficie terrestre e l’80% di essi sia dotato di fotocamera.
Dunque, per la prima volta nella storia dell’umanità, c’è un consistente numero di testimoni oculari. Noi tutti possiamo essere riceventi ma anche produttori di informazioni visive e quest’innovazione rivoluzionaria sta cambiando tanto il recepire quanto il fare informazione.
Su queste premesse Zizola incoraggia gli studenti a non aspettare la proposta di lavoro, ma di creare da sé le proprie occasioni, sfruttando al meglio i mezzi e gli strumenti che la tecnologia ha messo ormai a disposizione di noi tutti. “Siate gli editori di voi stessi!” dice, e per un attimo sembra davvero possibile.