Basket, NBA Playoffs: Western Conference, che spettacolo!

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Seconda parte di analisi dei playoff che scattano domani sera. Ad Ovest Spurs e Thunder in missione e tanti avversari di alto livello

 (di Stefano Brienza)

(prima parte: Basket, NBA Playoffs: in Eastern Conference è ancora Lebron contro tutti )

Se ad Est la situazione sembra abbastanza chiara con il duello Heat-Pacers e tanta mediocrità, l’Ovest è terreno di missioni e di belle speranze. Anche incompiute: i magnifici Phoenix Suns di Jeff Hornacek, autori di una delle stagioni più sorprendenti di sempre, fuori dai playoff all’ultima giornata nonostante 48 vittorie. Ad Est sarebbero stati terzi, ma nella Conference occidentale quest’anno si fa più sul serio che mai.

Dirk Nowitzki, Tim Duncan, Ian MahinmiDi missione si può legittimamente parlare per almeno due squadre. Quella dei San Antonio Spurs più che una missione è una ragione di vita, un’avventura firmata Popovich-Duncan che non vuole cessare di sorprendere, agli ultimi spiragli di una cavalcata senza tempo e con un’enorme ferita da rimarginare. Quella dell’ MVP – non ancora ufficiale, ma manca solo l’annuncio – Durant e dei suoi Thunder è la fame cieca di chi è rimasto a digiuno per troppo tempo: prima a causa di un avversario irraggiungibile (vedi Finals 2012), poi della sfortuna ( l’infortunio di Westbrook dell’anno scorso).

Oggi Spurs e Thunder sono nuovamente i favoriti per andare a strappare il titolo agli Heat all’interno di una Western Conference infernale, che conta otto dei primi dieci record di Lega. Non ci sono squadre materasso, ed è pieno di coppie capaci di vincere partite in solitaria: Paul-Griffin, Harden-Howard, Lillard-Aldridge. Nulla è scontato ad Ovest.

 San Antonio Spurs (1, 62-20) vs Dallas Mavericks (8, 49-33)

Iniziava a montare la nostalgia per le epiche serie di un decennio fa fra Spurs e Mavericks, fra Duncan e Nowitzki. Tim e Dirk, l’élite assoluta delle power forward della Lega, due adorabili vecchietti con entrambi i piedi già nella Hall of Fame, vivranno l’ennesimo duello che ha appassionato il Texas negli ultimi 15 anni. La differenza fra i due, in questo caso, è che Duncan fa parte della squadra più in forma dell’NBA, mentre Dallas oltre il tedesco (che ha incamerato un’altra stagione da incorniciare) è poca carne e pochissimo pesce. I problemi difensivi sono costanti, e l’esuberanza delle guardie (Ellis ed Harris, penetratori puri) non compensa il poco equilibrio di squadra. Manca un pezzo importante sotto canestro, dove è pronosticabile un lungo banchetto Spurs di 4 o 5 partite, quelle che dovrebbero bastare per passare il turno senza dover spremere troppo Ginobili ed il caraibico. San Antonio dopo il pazzesco epilogo dell’anno scorso non è caduta. Nonostante l’impossibile situazione psicologica, Popovich è riuscito a tenere la squadra sui soliti ritmi, tornando al miglior record di Lega, senza perdere nessuno dal punto di vista mentale e facendo crescere Kahwi Leonard (sempre più decisivo), Patty Mills e Marco Belinelli: per il Beli, dopo la stagione da sogno conclusa con 11.4 punti a gara e il 43% da tre punti, l’opportunità di lottare per il titolo sul serio come mai è capitato ad un italiano.

 Houston Rockets (4, 54-28) vs Portland Trail Blazers (5, 54-28)

La serie del tiro pesante; forse la serie più equilibrata del lotto. I Blazers erano la sensation di inizio stagione, ma a compensare un Aldridge al massimo dell’evoluzione (probabilmente il lungo col miglior bagaglio offensivo di Lega, tolta la leggenda Dirk) c’è un gioco troppo adatto alla regular season per poter essere egualmente efficace ai playoff. Anche i Rockets hanno lo stesso problema: il basket di McHale, fatto di tantissimo “corri” e ancor più “tira”, rischia di non trovare sbocchi quando le difese si chiudono e si aggiustano. Houston si affiderà nelle mani di un pimpantissimo James “Barba” Harden, dal quale passa tutto l’attacco, con Parsons facilitatore ed uno stuolo di tiratori, anche scriteriati (come piacciono a McHale). Sotto il totem Howard, uno dei giocatori più controversi degli ultimi anni; a causa dei suoi disastri ai tiri liberi, forse tanto pericoloso per il proprio attacco quanto per quello altrui. In ogni caso, se dovesse star bene con una certa continuità (ma quando mai lo è stato negli ultimi anni, verrebbe da chiedersi), rimane un giocatore capace di spostare l’inerzia di una serie dalla propria parte. Anche il play Beverley si è distinto come difensore d’eccellenza, e sarà sua la marcatura chiave, quella sul fenomeno Lillard, esordiente ai playoff dal quale passano i destini di Portland: per ribaltare il fattore campo ed agguantare un secondo turno che manca dal 2000, serve che faccia l’eroe. Da palati fini il duello Batum-Parsons, metronomi tuttofare, prototipi ottimamente riusciti del cestista moderno.

 Los Angeles Clippers (3, 57-25) vs Golden State Warriors (6, 51-31)

Chris Paul e Stephen Curry sono grandi amici: si sono allenati insieme per anni, iniziando quando Paul già lottava per l’MVP e un giovanissimo Curry per un posto nella Lega. Caso vuole (ma neanche tanto) che The Human Torch sia diventato in pochi anni uno dei più seri contendenti al titolo di miglior play della Lega, che CP3 detiene gelosamente da lungo tempo. Caso vuole che, senza rischiare denunce, si possa parlare tranquillamente dei due giocatori più elettrizzanti del globo. Destino vuole che si incontrino in una serie che promette di essere divertentissima, come ogni serie che solitamente coinvolge Clippers o Warriors che, per aggiungere hype, se le sono date e promesse, e poi ridate e poi ripromesse, per tutta la stagione. Insomma, c’è bel gioco e c’è rivalità. Come spesso accade, purtroppo, il percorso di Golden State è funestato da un infortunio che rende Los Angeles ancor più favorita, quello del “solito” Bogut. Senza centro i Warriors dovranno reinventarsi per l’ennesima volta come squadra totalmente basata sul ritmo offensivo, sull’inventiva di Curry e le triple degli Splash Brothers (lui e Klay Thompson: 967 bombe segnate in due nelle ultime due stagioni, stracciato ogni record). Senza avere quella protezione al ferro necessaria per vincere in postseason, soprattutto davanti ad una frontline Griffin-Jordan che si mangia atleticamente ogni coppia di lunghi avversaria; figuriamoci un pacchetto composto dal bianco di 2.05 Lee, il sottodimensionato Speights ed il trentacinquenne Jermaine O’neal. Là sotto si prefigura una strage, e in panchina il confronto fra Rivers e Jackson rischia di essere impietoso. Al magico Curry il compito di movimentare e mantenere in vita il più possibile la serie.

PS. Clippers ai playoff e Lakers davanti alla tv: non era mai successo.

Oklahoma City Thunder (2, 59-23) vs Memphis Grizzlies (7, 50-32)

Come l’anno scorso, si affrontano il singolo più immarcabile del pianeta e la squadra più squadra, quella senza nomi altisonanti, che dà meno nell’occhio. Due concetti totalmente opposti, nella costruzione del team come nella resa sul campo. Senza Westbrook la serie del 2013 è ovviamente poco giudicabile, cinque gare tirate grazie a Durant ma la costante sensazione che Oklahoma City fosse troppa poca roba per una Memphis lanciatissima verso le prime Conference Finals della propria storia. Quest’anno i Grizzlies sono stati meno brillanti ed hanno dovuto soffrire fino all’ultimo per un posto playoff, ma – come i Nets dall’altra parte – sono squadra da primavera per eccellenza. Difensori di ruolo fra i migliori del panorama, tanti palloni per Randolph (ala forte in post basso) e Gasol (centro in post alto), un play ordinato con licenza di andare fuori spartito quando l’attacco stagna, panchina lunga. È la descrizione tipica di una squadra europea, mentre dall’altra parte c’è la sublimazione del basket all’americana nel quale due esterni (fra cui l’MVP, che segna 32 punti a partita) controllano sempre la palla e creano da isolamento, accompagnati da un lungo difensore col piazzato (Ibaka) ed attorniati di role players. Il coaching pende tutto dalla parte di Memphis, ma OKC con Westbroook nel motore è troppo esuberante atleticamente per essere tenuta a ritmi bassi. Sarà comunque battaglia vera.

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