Spagna: ricerca in crisi
Le amministrazioni autonome hanno un debito di 1 miliardo di euro verso le università pubbliche spagnole, che di conseguenza perdono il treno dell’innovazione e della ricerca
di Maria Bonillo Vidal
La crisi non risparmia nessun settore. Dal 2009 ad oggi, l’istruzione universitaria in Spagna ha perso più di 1 miliardo di euro. I tagli del governo alla Ricerca (37 % in cinque anni) sommati ai debiti delle amministrazioni autonome, soffocano gli istituti di ricerca tenendone sotto scacco i progetti. I ricercatori si lamentano: “stiamo tornando indietro 20 anni”.
Tra le più indebitate, la Comunità Valenciana. Il governo autonomo, governato dal Partido Popular, deve piú di 950 milioni di euro – il 41 % rispetto all’intero Paese iberico. Dopo la comunità valenciana, l’Andalusia – governata dai socialisti, che deve piú di 760 milioni. Al terzo posto la Catalogna, che deve “soltanto” 188 milioni di euro.
Oltre all’enorme debito, i nuovi presupposti economici non sono per niente promettenti. Ad esempio, le cinque università pubbliche della Comunitat Valenciana riceveranno 718 milioni di euro per il 2014, circa il 20 % in meno rispetto al 2009. Con queste cifre, il morale dei ricercatori non può che essere basso.
Progetti di ricerca in ambito medico, tecnologico o giuridico, stanno cedendo posti di lavoro ad istituzioni straniere. Così che i dipartimenti devono ricorrere ad altri espedienti, per trovare i finanziamenti – ad esempio attraverso il crowdfounding o le telemaratone. Non ci sono alternative migliori, considerando che i finanziamenti dello stato sono precipitati alle cifre di dieci anni fa. D’altra parte, anche i finanziamenti del settore privato sono precipitati massicciamente.
A tutto ciò si aggiunge un decreto approvato due anni fa, che contiene un pacchetto di misure straordinarie che, oltre a tagliare le spese delle università, prevede l’aumento delle tasse universitarie. In un documento presentato questa settimana al ministro dell’Istruzione José Ignazio Wert, i rettori di tutte le università pubbliche spagnole chiedono all’unisono la deroga di queste misure – che a loro avviso abbattono il futuro di migliaia di futuri ricercatori e professori, rendendo difficile la sostituzione dei professori in pensione.
L’aumento delle tasse, che in alcuni casi arriva anche al 60 %, sta espellendo centinaia di studenti dai centri d’istruzione superiore. Per la maggior parte di loro, iscriversi a un master è praticamente impossibile. Con un sistema sempre piú povero e debole, inoltre, diventa difficile concorrere a livello internazionale – nella qualità dell’istruzione come nei propri progetti di ricerca.
Il risultato finale è l’esodo di un’intera generazione di ricercatori, scienziati, accademici e laureati di qualsiasi area del sapere verso altre parti del mondo – dove studiare e indagare non sigifica precarietà, ma conoscenza e consapevolezza di essa. Le diaspore si moltiplicano di giorno in giorno e non è strano vedere nei telegiornali cervelli spagnoli residenti in Paesi come gli Stati Uniti scoprire nuovi metodi per curare malattie – come nel caso della ricercatrice Sonia Franco Nuñez, vicepresidente dell’associazione Ecusa, che riunisce i ricercatori spagnoli emigrati negli Usa.