La lotta di potere nel Sud Sudan
Lo stato più giovane al Mondo sta maturando troppo in fretta. In preda ad una guerra intestina tra forze di potere contrastanti, nel Sud Sudan si teme il peggio e si attende l’avvio di una tregua vitale
di Martina Martelloni
La dimensione etnica pesa come pietra sull’erba, in un paese tra i più poveri al Mondo – che vanta un tasso di mortalità che supera profondamente quello di speranza di vita e di fuoriuscita da una caos interno inarrestabile. Dalla metà di aprile sono infatti nuovamente ripresi gli scontri tra governo e ribelli nelle città di Bentiu e Bor, prese d’assalto da giovani armati ed orgogliosi di portare a stemma il nome dell’ex vicepresidente Machar. Combattere e rovesciare il potere dell’attuale presidente Salva Kiir appartenente all’etnia dei Dinka che contrasta numericamente con il sangue Nuer, di cui Machar è parte.
La gravità degli eventi dovrebbe scuotere non solo l’intero continente, ma la comunità internazionale tutta a fronte di una guida, l’Onu, particolarmente coinvolta nella questione considerando la presenza di centri di accoglienza per rifugiati costruiti a suo nome e che faticano ad ospitare migliaia di anime in fuga.
Si scappa in Sud Sudan, e si cerca riparo dai massacri di civili, esecuzioni, stupri, torture e saccheggi oramai dall’effetto atrofizzante nelle città di Malakal, Bor e Bentiu – quest’ultima poi è ulteriore motivo di contesa essendo importante centro petrolifero del neonato Paese.
Oltre le palesi e manifeste questioni interetniche, a far da veleno di odio tra la popolazione sono anche altre ragioni legate ad un mancato accordo ed una falsa promessa che ha scatenato le ire funeste dei ribelli di Machar. L’opposizione rivendica infatti la liberazione di quattro prigionieri politici accusati di aver tentato di sradicare il governo Kiir e sui quali, secondo i patti di gennaio per il cessate il fuoco, pendeva una allettante speranza di rilascio e libertà. La mancata realizzazione del compromesso è divenuto motivo di ulteriore scontro sul quale nessuna delle parti intende decelerare in un contesto sociale dall’aria caotica e disorganizzata.
Il Paese divenuto stato indipendente nel luglio 2011, è in attesa di una risoluzione e di un aiuto internazionale. La sua fase di costruzione è tutt’ora in divenire ma rischia uno stallo da viscerali conseguenze a lungo termine.
Ban Ki-moon si è recato in missione nel piccolo Stato per implorare la fine della guerra civile. Il segretario generale delle Nazioni Unite mostra a chiare parole le sue preoccupazioni divenute paure per l’intera popolazione. Probabilmente incontrerà il presidente Salva Kiir per tentare di ritrovare un dialogo interrotto, o forse mai nato con la parte in guerra, per ora, però, unica data certa è quella di venerdì prossimo, quando saranno i due capi guerrieri ad incontrarsi.
Il presidente Salva Kiir affronterà a parole il leader dei ribelli Riek Machar con l’obiettivo di ritornare su quel punto a metà strada per la pace e la fine delle violenze anche se ad oggi il messaggio mediatico prevalente tra le genti è ancora fondato sull’astio e sulla disperata ricerca di un equilibrio interno.