"Love – L'amore ai tempi della ragione permanente"
Torna lo spettacolo ispirato a “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman. Due coppie, una crisi e un finale repentino. In scena a Roma al Teatro dell’Orologio
di Alessia Carlozzo su Twitter @acarlozzo
È con una sorta di ninna nanna a un figlio che deve arrivare che si apre il sipario. Una sagoma si staglia sul palco del Teatro dell’Orologio. Una cantilena senza apparente sosta, alcuni movimenti aggraziati e portatori di sventura e un ventre gonfio. Quello della cameriera che impariamo a conoscere poco dopo, accompagnata da una gelida espressione che pare stridere con la dolce attesa di cui è protagonista.
Angela (Chiara Mancuso) ha paura. Paura di perdere il suo uomo, Fortunato (Gabriele Paolocà) il cuoco e servitore dei padroni di questa casa fredda e assurdamente lussuosa. Lei vorrebbe scappare, lasciarsi alle spalle quella casa e i suoi inquilini rei di essere vuoti, privi di vita. Lui non riesce. E’ cresciuto lì e al suo “padrone” deve tutto. Così mentre Angela minaccia di usare qualunque mezzo per allontanarlo da loro, entrambi compiono il rito, quasi sacro nei movimenti, di apparecchiare una tavola.
Scompaiono e lasciano spazio a questa coppia amata – odiata, forse in fondo solo compatita. Sono belli, vincenti, ricci. Sono terribilmente soli, con la sola compagnia dell’altro. Davide (Marco Cocci) e Virginia (Anna Favella) prendono posto al tavolo con lenta grazia. Ci appare subito cosa ci attende. Uno scontro mortale. Quella lunga tavola, decorata da bianche margherite, si trasforma nell’immaginario dello spettatore in una bara. Al suo interno un amore forse mai accettato e sbocciato. Come quei fiori che sogna da alcune notti Davide o come quelli disposti a cena, quasi a voler formare un ultimo fisico muro con la moglie.
Ed è confronto, scontro, ricerca di risposte. Davide è uno psicologo annoiato, forse disilluso. Amava Virginia come sostiene? Non ci è dato scoprirlo ulteriormente. Ora vediamo solo un uomo che rigetta il falso perbenismo dentro il quale si è trovato costretto, il lusso sfrenato e la falsità dilagante del mondo upperclass di Virginia. Lei che che sembra così diversa, dice. Lei che è diventata come “loro”, quei suoi amici ricchi e falsamente radical chic. Dalle voci acute e i nomignoli pronti.
E Virginia non lo sopporta più. Non sopporta quel marito che l’analizza in continuazione, tende a metterla in ridicolo, la sminuisce senza pietà e la cui indifferenza prevale anche durante un semplice amplesso. Lei è concreta, razionale, pratica. E’ un avvocato divorzista, non potrebbe essere altrimenti. Eppure la percepiamo quella scintilla irrazionale in questa donna gelida ed elegante. Bella e composta. E’ la gelosia che la smuove in pochi attimi. La paura che lui la tradisca con una Margherita. Quel nome, quel fiore che torna come una maledizione.
Ma è solo una scintilla verde. Presto torna il bianco accecante del gelo. Tutto è bianco: la scenografia, quella tavola, le margherite. Tutto è volutamente freddo. Anche la recitazione degli attori rimane a tratti monotono, rigida, inquadrata. Solo Virginia cerca di sottrarsi in brevissimi frammenti da quella struttura soffocante, ma non riesce mai fino in fondo.
Fino al repentino finale, prevedibile nell’atto quanto imprevedibile nell’arrivo. Ti coglie di sorpresa, come coglie di sorpresa quella coppia a modo suo indifesa. Tutto dura il tempo di un soffio. Quello di una candelina spenta e di una promessa.
Love – L’amore ai tempi della ragione permanente è un chiaro omaggio a Ingmar Bergman e al suo “Scene da un matrimonio” seppur riletto in una chiave più noir.
Eppure anche se il tema centrale viene comunque ben incentrato, ovvero la crisi di un rapporto, il tempo che ci viene presentato sulla scena appare chiaramente come troppo breve. Il tempo di una cena che lascia l’amaro in bocca, perché desiderosi di apprendere qualcosa di più del dramma che ci viene presentato.
Davide e Virginia ci rimangono a tratti estranei, non riusciamo a coglierli fino in fondo, così come ambigua rimane la loro crisi, il loro dolore. Non è forse un tempo sufficiente per penetrare fino in fondo alla storia e comprenderne tutte le sfumature.
E’ solo un colore infatti che domina. Questo bianco accecante, l’ambiente asettico, la recitazione a tratti fin troppo impostata. L’aspetto altero di Virginia che si contrappone all’indifferenza di Davide. Solo il fumo delle sue sigarette, fumate incessantemente, regala forse una nota di libertà.
Il resto è totalmente ingabbiato in un quadro studiato nei minimi dettagli. Ciò non sminuisce la performance dei quattro attori, impeccabili in particolar modo proprio Marco Cocci e Anna Favella nei panni perfetti di questa coppia imperfetta e innaturale rei soltanto, ma ripetiamo solo per motivi di durata dello spettacolo, di non aver maggiormente sviscerato e analizzato questa rottura devastante. Interrotti sadicamente sul punto di snodo, lasciando lo spettatore a chiedersi cosa sarebbe successo se…
Love – L’amore ai tempi della ragione permanente
Roma, Teatro dell’Orologio
fino al 15 maggio
Biglietto: 13€