Le Formiche della Città Morta
Da giovedì 15 maggio al Nuovo Cinema Aquila l’atteso arrivo in sala del film indipendente “Le Formiche della Città Morta”, che racconta “la capitale in un rap tossico” e una delle tante storie, più che mai attuali, di dipendenza dall’eroina. L’intervista al giovane regista Simone Bartolini
di Giulia Marras
su Twitter @giulzama
Finalista al Rome Indipendent Film Festival 2013 con due proiezioni sold out, esordisce al Cinema Aquila il 15 Maggio l’opera prima di Simone Bartolini, “Le Formiche della Città Morta”.
Ambientato nell’arco di una giornata intera, compresa la notte di catarsi e risoluzione del viaggio/trip personale del protagonista, il film affronta il ritorno prepotente dell’eroina per le strade di Roma, la Città Morta alla quale si riferisce il titolo del film, e seconda protagonista fondamentale di uno spaccato di vita tra tossicodipendenza, disoccupazione e aspettative continuamente infrante e autosabotate. È la storia di Simone, interpretato dall’esordiente Simon Pietro Manzari, giovane aspirante rapper e del suo vagare per racimolare i soldi per bucarsi ed estinguere i suoi debiti, in un doloroso pellegrinaggio da un punto all’altra della città, a chiedere invano aiuto agli amici e a spacciare.
Il tessuto urbano calpestato è anche quello sociale, che fisicamente plasma inevitabilmente anche il percorso psicologico di Simone, riflettendo e testimoniando inoltre lo stato della città: dalla periferia di Vigne Nuove fino a San Lorenzo, dal Forte Prenestino al Teatro Valle, luoghi nevralgici della cultura giovane, underground e indipendente della capitale, come a voler sottolineare ancora una volta l’abbandono dei giovani da parte delle istituzioni. Le Formiche della Città Morta si inserisce inoltre nel più specifico contesto dell’hip-hop romano, a partire dal coinvolgimento dell’attore protagonista conosciuto anche come Simon P, della crew del Quarto Blocco, che contribuiscono alla già ricca e variegata colonna sonora, che comprende nomi quali Tiromancino e Noyz Narcos, oltre alle musiche originali di Tomaso Pignocchi, Mattia Cutolo e Pasquale Citera.
La fotografia, affidata a Raoul Torresi (Il giorno più bello, Un altro pianeta), rimarca il voluto realismo delle immagini di una città cupa e spietata che ha perso da tempo la sua grande bellezza.
E a proposito di cultura indipendente, bisogna sottolineare anche come il film arrivi in sala a un anno dalla presentazione al Riff e dopo sporadiche presentazioni nei cinema occupati romani e in varie città italiane, grazie a una distribuzione autonoma, curata dalla casa di produzione
NeroFilm di Gregory J. Rossi, che ha anche co-prodotto il film insieme al regista, di questi tempi “naturalmente” a low-budget.
Abbiamo parlato del film e dei punti finora focalizzati con Simone Bartolini (classe 1984).
Perchè hai deciso di raccontare la nuova avanzata dell’eroina attraverso il mondo dell’hip-hop?
Se devo essere sincero credo che, tolto il rap, della cultura hip-hop rimanga molto poco nel mio film. Nel binomio rap-eroina ho visto un assioma per quanto riguarda il periodo storico che stiamo vivendo. Il rap dilaga in tutto il mondo e ormai si è imposto prepotentemente al grande pubblico e così l’eroina. Premetto che lo scopo del film non è certamente dare ad intendere un collegamento imprescindibile tra eroina e rap nel mondo reale. Lo è solo ed esclusivamente nella vita del personaggio Simon P.
Come sono nate la collaborazione con il Quarto Blocco e la decisione di affidare la parte principale al rapper Simon Pietro?
Con Simon Pietro ci conosciamo sin dall’infanzia. Siamo cresciuti entrambi a Monte Sacro, quartiere che ora è diventato il III Municipio di Roma ma che fino a poco tempo fa ne era il IV, motivo per il quale la crew venne chiamata Quarto Blocco. In Simon Pietro ho sempre visto una personalità tormentata e istrionica, aiuto non da poco per recitare. Inoltre suo padre cercò di istruirlo al teatro sin dall’infanzia.
Per la prima volta Roma è mostrata nel suo lato più oscuro, periferico eppure più vero. Quanto ha influenzato la città sulla sceneggiatura prima, e dopo sulle riprese?
La città ha certamente avuto un ruolo molto importante in tutte le fasi di ideazione e realizzazione del film. Tutti i luoghi in cui vediamo Simon Pietro passare sono posti che conosco e frequento o ho frequentato io stesso, molti dei quali hanno per me un valore affettivo oltre a quello che rappresentano a livello simbolico nel film.
Dopo la prima, hai avuto problemi di distribuzione, ma sei stato accolto da cinema occupati (l’America, il VolTurno). Nel film inoltre sono presenti ben due scene all’interno del Teatro Valle. Come si è svolta la collaborazione con queste nuove realtà sociali?
Per quel che riguarda i problemi di distribuzione il periodo è quello che è e con un prodotto non concepito per un sicuro successo commerciale è difficile trovare spazio. Se devo essere sincero non ci siamo neanche impegnati molto per trovarla ed essere indipendenti anche con la distribuzione è stata un’ulteriore esperienza. Il Teatro Valle Occupato è nel film perché rientra nella categoria di cui ti dicevo, luoghi che conosco bene e che hanno un valore affettivo oltre che simbolico. L’occupazione del Valle ha avuto inizio nel giugno del 2011 mentre giravo il film. Stesso discorso per altre scenografie, come il Forte Prenestino o Ponte Nomentano.
Cosa significa per te girare indi(e)pendentemente? Ha rappresentato più un vantaggio o uno svantaggio?
Sono fiero di essere indipendente e di aver portato avanti il progetto da solo in un primo momento, così come sono contento di aver poi trovato Gregory J. Rossi della NeroFilm che ha creduto nel progetto già avviato e che nonostante mi abbia affiancato in corso d’opera ci ha messo del suo per aiutarmi a completarlo nel migliore dei modi possibili. Per quanto riguarda il discorso vantaggio o svantaggio posso dire che avere la più totale libertà creativa è stupendo ma allo stesso tempo può essere limitante se si hanno pochi mezzi a disposizione. Anche se nel caso di questo film la scelta dei mezzi ai minimi termini è stata uno dei miei precetti sin dall’ideazione, pensando a quale stampo avrebbe dovuto avere il linguaggio delle immagini della mia storia.
Il protagonista sembra perso tra la disoccupazione e lo spaccio, ma anche vittima e artefice di uno smarrimento personale e affettivo, che non riesce più a risolvere. Nella tua visione, personale e cinematografica, a cosa risponde la tossicodipendenza? Credi che sia un problema legato ai problemi della società italiana attuale o, più in generale, a una crisi generazionale?
Possiamo dire che è generazionale proprio perché influenzato dalla situazione sociale e politica di questo periodo storico. La tossicodipendenza, soprattutto quando si è raggiunto uno stadio avanzato di dipendenza fisica e psicologica del soggetto, è totalizzante e quindi molto attiva, è un’occupazione a tempo pieno e il film ne è un esempio. Simon Pietro è schiavo dell’eroina, la sua è sudditanza. Penso che la tossicodipendenza sia solo la massima espressione di dipendenza da astrazione, dal primitivismo del rito magico per alterare la percezione del mondo esteriore ed interiore. La dipendenza è infatti il tema portante della pellicola. Tutte le dinamiche di dipendenza riguardanti Simone vengono esposte nell’arco delle ventiquattro ore che il film racconta.
Oltre a Simon Pietro, il cast vede l’esordio di Rachele Romano e Gaia Mottironi, e la partecipazione di Nina Torresi (La bellezza del somaro, I Cesaroni).
“Le Formiche della Città Morta” sarà in programmazione al Nuovo Cinema Aquila del Pigneto dal 15 al 21 maggio, con un incontro speciale con il regista, il produttore e il cast venerdì 16 alle 20.30.
Per riuscire a fermarci un attimo, noi cittadini formiche, dal brulicare e vagare cieco nella Città, Eterna Morta, e renderci conto di una delle realtà che la stanno rendendo Mortale, come l’eroina.