Europee 2014: i candidati alla Presidenza a confronto
Il dibattito ha messo al centro diverse visioni dell’Europa e ha mostrato come queste elezioni europee siano cruciali per il futuro dell’Unione
di Francesca De Santis
su Twitter @FrancescaDeS
Novanta minuti, cinque candidati, trentuno canali tv con altrettante dirette web streaming e radio e un hashtag, #TellEUROPE, che ha portato 63mila tweet in tante lingue diverse. Sono questi i numeri del primo dibattito in eurovisione fra i candidati alla Presidenza della Commissione europea – in Italia trasmesso su RaiNews, il 15 maggio alle ore 21.
Un’occasione importante per far comprendere ai cittadini dei ventotto Stati dell’Unione Europea chi e cosa realmente saranno chiamati a votare dal 22 al 25 maggio. Perché se è vero che verranno eletti i 751 membri del nuovo Parlamento europeo (73 i seggi attribuiti all’Italia), è ancor più vero che dopo l’ultima riforma dei Trattati, avvenuta con l’entrata in vigore di Lisbona nel 2009, il colore politico dell’assemblea parlamentare europea giocherà un ruolo decisivo per il governo dell’Europa.
Infatti, secondo l’articolo 17 paragrafo 7 del TUE, colui che guiderà la Commissione, dovrà essere designato a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento europeo, unico vero organo del quadro istituzionale dell’Unione scelto dai cittadini. Sarà infatti il Parlamento a eleggere a maggioranza dei suoi membri, il candidato individuato dal Consiglio europeo e successivamente, la lista dei Commissari.
Questa legittimazione democratica della Commissione trova la sua ratio in uno dei problemi più annosi che affliggono l’Unione, cioè il suo deficit democratico: in pratica, chi decide che rotta prenderà la barca non risponde direttamente all’equipaggio che l’ha nominato capitano.
A seguito della crisi economica, la disaffezione dei cittadini europei nei confronti dell’Unione non ha fatto che aumentare e Bruxelles è sempre più percepita come un’entità distante dalle reali esigenze degli europei. Visto il timore che un’ondata euroscettica, o alla meglio l’astensionismo, si abbattano sulle prossime elezioni europee, la campagna elettorale ha avuto come obiettivo quello di riavvicinare i cittadini all’Unione, spiegando (finalmente) cosa si vota e quali idee ci sono dietro ai numerosi simboli delle schede elettorali.
Per far ciò, cinque dei tredici partiti europei hanno deciso di dare un volto al proprio candidato alla Presidenza e di presentarlo agli europei: il Partito Popolare Europeo (PPE) corre con Jean-Claude Junker, ex Primo ministro lussemburghese ed ex Presidente dell’Eurogruppo; il partito socialista europeo (PSE) si affida invece a Martin Schulz, attuale Presidente del parlamento europeo tristemente noto a noi italiani in quanto destinatario del becero insulto rivoltogli dall’allora capo del governo Silvio Berlusconi che gli diede pubblicamente del “Kapò”; I Verdi europei si presentano con una coppia di candidati, il francese José Bové e la tedesca Ska Keller, che ha partecipato al dibattito; i liberali dell’ALDE scelgono invece Guy Verhofstadt, ex Primo Ministro Belga e attuale leader dei liberali al Parlamento europeo; la Sinistra europea confida infine nell’astro nascente della scena politica greca Alexis Tsipras, leader del partito SYRIZA.
I candidati, moderati dalla giornalista italiana Monica Maggioni, avevano un minuto a testa per rispondere alle domande e tre diritti di replica della durata di trenta secondi ciascuno.
Sin dalle prime battute, una vena polemica: i candidati sarebbero dovuti intervenire in inglese per facilitare il servizio di traduzione nelle ventitré lingue ufficiali dell’Unione e invece, all’ultimo momento, Alexis Tsipras e Jean-Claude Junker hanno fatto sapere di voler parlare nelle proprie lingue di origine. Fierezza nazionale? Riguardo nei cittadini del proprio Paese di provenienza? Revanscimo alla vecchia maniera? Non è chiaro. Sicuro, un episodio che stona, e non poco, con il clima di unione e senso di appartenenza europea che quella serata avrebbe dovuto inspirare nei sentimenti degli europei.
Partenza affidata alle dichiarazioni di apertura, dove tutti i candidati mettono in evidenza l’importanza delle imminenti elezioni e la necessità di creare un’Europa più solidale e vicina ai cittadini. Si passa poi all’economia e al problema della disoccupazione: priorità assoluta nell’agenda di Ska Keller; Schulz punta invece sulle piccole e medie imprese per il rilancio dell’occupazione; Verhofstadt afferma che è necessario integrare nuovi settori per rilanciare l’economia europea e che la sua Commissione si concentrerà sul “lavoro, lavoro, lavoro” al contrario dei socialisti che invece vogliono “debito, debito, debito”; Tsipras affonda contro le politiche di austerità che hanno colpito la Grecia e risponde dicendo che è arrivato il momento di investire e rafforzare la domanda avviando un New Deal europeo; gli replica Junker sostenendo che è bene investire nell’occupazione ma che per farlo è necessario avere alla base economie solide e conti in regola.
Si parla anche di euroscetticismo, con Tsipras che accusa PSE e PPE di aver alimentato questo sentimento tramite l’appoggio a misure di austerity impopolari. Inoltre, c’è spazio per discutere di politiche migratorie che secondo Verhofstadt non possono essere delegate agli Stati membri ma costituiscono una questione che interessa tutta l’Unione. Convince su questo punto Ska Keller che afferma: “Abbiamo vinto il Premio Nobel per la Pace. Far sì che il Mediterraneo non sia più una tomba è il minimo che possiamo fare.”
Infine, si toccano argomenti nei quali i candidati entrano più o meno nel merito, come la crisi in Ucraina, i simboli religiosi nei luoghi pubblici e la possibile adesione all’Unione europea di eventuali “nuovi Stati” nati da movimenti indipendentisti come quello della Catalogna in Spagna o della Scozia in Gran Bretagna.
A differenza dei dibattiti italiani impostati con la stessa modalità, i candidati europei sembrano meno ingessati, più reattivi e non mancano di tirarsi frecciatine come quando Verhofstadt ha affermato che uno dei pochi socialisti intelligenti è stato Jaques Delors, guardando con aria provocatoria uno Schulz sicuro di avere la vittoria in mano oppure quando Alexis Tsipras, molto “grecocentrico”, ha affermato che al Consiglio europeo di Cannes è stato deciso a porte chiuse di rovesciare due governi democraticamente eletti (quello greco e quello italiano).
L’impressione generale è quella di un’occasione mancata. Domande così generiche e ampie non potevano portare a risposte concrete in un minuto. Si è parlato più di ideali e di visioni che di soluzioni reali e in un momento in cui i cittadini chiedono soluzioni ai loro problemi, questa impostazione si è rivelata poco efficace.
Tuttavia, si può senza dubbio affermare che un grande passo in avanti è stato fatto. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile riuscire a organizzare un evento simile sui principali canali tv nazionali. Per un’ora e mezza tutti gli europei hanno avuto l’occasione di guardare insieme una trasmissione che li ha resi realmente protagonisti. Questo dibattito è stato fondamentale per mettere in evidenza la dimensione europea delle prossime elezioni che invece, soprattutto in Italia, passa spesso in secondo piano in una campagna elettorale che finisce per rispecchiare le solite dinamiche nazionali.
A livello di contenuti forse non sarà stato un successo ma sicuramente, i padri fondatori europei come Robert Schuman o Alcide De Gasperi, sarebbero stati orgogliosi di vedere che, per un momento, il popolo europeo si è riunito per individuare la strada da intraprendere e decidere del proprio futuro, insieme.