"Il venditore di medicine": al cinema le lobby dei farmaci
Presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2013, il film-denuncia di Antonio Morabito racconta il reato del comparaggio. Nel cast Claudio Santamaria, Isabella Ferrari, Evita Ciri e Marco Travaglio
di Giusy Andreano
su Twitter @Giusy_Andreano
Le aziende farmaceutiche e numerosi medici non avranno apprezzato l’impegno narrativo del regista Antonio Morabito, che al suo terzo lavoro per il grande schermo alza il velo sul reato di comparaggio, quando le case farmaceutiche fanno regali ai medici affinché scelgano e diffondano massivamente i loro prodotti, indipendentemente dalla loro utilità ed efficacia.
Una vacanza a Cuba spacciata per convegno, un’automobile di lusso, un tablet o una raccomandazione per un concorso bastano a tacitare la coscienza e anche quell’etica che è a fondamento della professione medica, sancita dal giuramento ippocratico, che esige che i medici siano liberi da ogni indebito condizionamento.
Le dinamiche che regolano questa pratica illegale sono viste attraverso la parabola umana di Bruno, informatore scientifico della Zafer, azienda farmaceutica in crisi in vena di tagli, con l’accetta, al personale. Ruolo affidato all’ottimo Claudio Santamaria, angosciato ed angosciante.
In un clima di tensione e paura, alimentato dalla capo area Isabella Ferrari, istericamente cinica nel rappresentare il pungolo continuo del profitto ed emotivamente distante, esplodono le tensioni dei dipendenti dell’azienda, detonate dalla frase “Sarai mica stanco?”, segnale della fine rovinosa di carriere ed esistenze. Non per Bruno che, pur di non essere licenziato, rilancia la posta in gioco professionale, puntando anche gli affetti più cari sul banco dei risultati di vendita.
Come si conquista una regina? E uno squalo? Non è zoofilia, ma i termini che nel gergo delle aziende farmaceutiche indicano medici e primari, entrambi punti nevralgici, con carature differenti, della rete di diffusione dei farmaci.
Lo squalo di Bruno è il dottor Malinverni, primario di oncologia di un importante ospedale, che ha fatto della sua incorruttibilità l’arma con cui umiliare i colleghi di Bruno che prima di lui l’avevano “corteggiato”.
Per espugnare la fortezza etica di Malinverni ed indurlo a scegliere il farmaco della Zafer, Bruno aumenterà la sua dose di meschinità e quando scoprirà che l’etica del primario è scalfibile, per via di alcuni illeciti commessi in passato, Bruno non avrà più freni perché chiunque ha un prezzo e non c’è salvezza per nessuno.
In questo gioco crudele al massacro, Bruno, nonostante abbia portato a termine questa difficile impresa di conquista, non ha né la gioia della vittoria, ancorché sporca, né la plausibile ricompensa del salto di carriera. Egli resta relegato nel suo ruolo di piccolo ingranaggio di un sistema che gioca con la vita dei pazienti e con le coscienze di tutti in nome della salute dei conti in banca o di un precario posto di lavoro.
Il cast riserva due sorprese. La partecipazione del critico cinematografico Roberto Silvestri nel ruolo di un giudice e il giornalista Marco Travaglio nel ruolo dello scostante Malinverni. Silvestri è credibile. Travaglio recita sé stesso, con le stesse pose che sfoggia nell’arena televisiva.
Il film di Morabito è coraggioso, duro, disturbante perché mostra come il paziente sia solo un elemento di incidentale importanza in un gioco a rimpiattino tra chi i farmaci li produce, senza concentrarsi troppo sull’innovazione di molecole e principi attivi, e chi li prescrive, gioco finalizzato alla tutela dell’unico bene, il guadagno.