La rivoluzione e la banalità di Andy Warhol
A Palazzo Cipolla di Roma l’artista americano in mostra tra immagini, foto e quotidianità. L’esposizione aperta fino al prossimo 28 settembre
di Caterina Mirijello
Andy Warhol. Ho osservato con trasporto la mostra di Palazzo Cipolla a Roma (aperta fino al prossimo 28 settembre) e mi sono sentita molto poco beat anche se devo ammettere ha soddisfatto le mie attese. Non si può di certo attendere che una mostra simile sia beat, e non lo è neanche negli intenti dei curatori, però di certo è un cult per chi ama l’Arte in tutte le sue declinazioni.
Ciò che ho trovato sorprendente è l’osservazione di uno stile rivoluzionario che ha dettato le regole, trasformandosi in sconvolgente normalità. E non mi riferisco solo allo stile artistico.
Immagini, serigrafie, tutte identiche se non fosse per quel colore che via via perde d’intensità e per le campiture colorate che personalizzano ogni stampa. Uno stile che diventa un concetto: Pop.
Popolo, popolare, popolarità. Osserviamo l’aurea dell’Arte spegnersi, scomparire. Ciò che prima si assurgeva, unica e sola in una nicchia – splendente e per pochi – si sveste. O meglio, abbandona il luogo solitario per scendere in una dimensione più umana. Per circondarsi da tutti.
E così si riveste di sfarzo, eccentricità, colori sgargianti, concetti innovativi ma comuni (un vero e proprio paradosso). Scatole di Brillo box, pacchi di Kellogg’s, lattine Campbell soup, bottiglie di Coca Cola, succhi di frutta Del Monte. Andy rapisce l’attenzione del pubblico. Lui vuole descrivere il mondo, e lo fa con una tecnica nuova, diversa e semplice: fotografa la realtà, anche letteralmente (con le sue amatissime Polaroid) e affolla il mondo con opere identiche – speculari – uguali, o quasi.
Riproducibile, riproducibilità. Un concetto spinto all’eccesso della sua normalità, d’altronde fu egli stesso ad affermare: “Isn’t life a series of images that changes as they repreat themselves?” (Non è forse la vita una serie di immagini che cambiano solo nel modo di ripetersi?).
Marilyn, Liz Taylor, Mao Tse Tung, Elvis, Mick Jagger, la Gioconda, l’Ultima Cena. Ed è qui che Andy piace ancora di più. Il mondo patinato, la famosa Factory, le star, i rockers, la sua vita e il mondo d’élite affiancato ad oggetti comuni, di tutti e per tutti. Fonde in un unico gruppo classi sociali distanti, lontane. Giocando sul concetto di consumismo, Andy descrive una società in cui i beni, alcuni beni, sono uguali per tutti. La Coca Cola non cambia gusto, e non esiste somma che possa dare un gusto migliore per chi fosse disposto a spendere cifre esorbitanti. Se in mano di un clochard, o di una star il sapore è identico.
Così, le star all’apice del loro successo, immortalate su tele, in un processo complementare e opposto: accrescerne la fama accorciando le distanze con il populus. E alla fin fine, non è poi ciò a cui assistiamo quotidianamente con l’utilizzo dei Social Network e della tecnologia digitale?