Abdel Fatah al-Sisi, un "uomo forte" per l'Egitto
Lo scorso anno, il neoeletto Presidente egiziano aveva deposto Mohammed Morsi, oggi ha ottenuto la fiducia del 95% dei votanti. Astensionismo al top incitato dai Fratelli Musulmani
di Sara Gullace
L’Egitto del dopo Morsi aveva bisogno di una presenza solida, di un “uomo forte” che rassicurasse sulla questione sicurezza. Lo ha trovato in Abdel Fattah al-Sisi: l’ex generale delle forze armate ha sbaragliato la concorrenza dell’avversario di sinistra Sabbahi alle presidenziali che si sono chiuse il 28 Maggio, dopo 36 ore di seggio.
Le ragioni della fiducia suscitata in seno al popolo egiziano non si possono individuare nel programma elettorale, visto che Al-Sisi poco spazio gli ha dedicato – preferendo fare quasi senza e puntando molto sul suo recente passato. I suoi punti fermi sono sempre stati la questione sicurezza e la garanzia di escludere i Fratelli Musulmani da qualsiasi forma di potere politico.
Poco o nulla ha dedicato, invece, alle riforme economiche per risollevare un’economia sul baratro ed una disoccupazione al 13%. La strategia per affrontare queste problematiche, resta sconosciuta – così come la riforma elettorale. Per quanto superficiale possa sembrare, o realmente sia, una campagna elettorale così pensata, è stata comunque vincente. E di netto.
Perché ad un Paese come l’Egitto, reduce dall’oppressione di Morsi e dei Fratelli Musulmani subita meno di una anno fa, quello stesso Egitto della Primavera delusa, l’idea di mettere al primo posto l’uomo che a queste violenze aveva saputo mettere fine è sembrata la soluzione della speranza.
E pensare che al-Sisi non ha sempre goduto delle simpatie del suo popolo, tutt’altro. Messo a capo delle Forze Armate da Morsi, la sua figura era strettamente collegata ai Fratelli Musulmani. Il 3 luglio dell’anno scorso, tutto cambiò: con il colpo di stato con cui depose lo stesso Morsi, liberò gli egiziani conquistandone la fiducia – almeno per la maggior parte di essi.
Candidato a presidente, ha preferito puntare sulla forza della sua immagine piuttosto che su una strategia politica difficile da pensare, oltre che da spiegare. “Se sarò eletto, i Fratelli Musulmani non esisteranno più e l’esercito non avrà alcun ruolo di potere”. Questa il suo refrain, che ha conquistato quasi il 97% dei votanti.
Lontani dalla scena, i Fratelli Musulmani si sono comunque fatti sentire incitando al boicottaggio. Oltre ad al-Sisi, infatti, altro protagonista di queste elezioni è stato l’astensionismo: non è bastata la proroga di 24 ore dell’apertura delle urne per risollevare l’affluenza, che ha visto votare solo il 47% degli egiziani.
L’Egitto, quindi, non è completamente dalla parte del nuovo presidente. E tra la nuova corrente e l’estremismo dei Fratelli non ha saputo insinuarsi il suo avversario, l’unico, Hamdin Sabbahi. Con il 5% dei voti non ha potuto fare altro che ammettere la sconfitta, sottolineando, però il “favoritismo dei media nei confronti di un altro candidato” – cosa che, secondo lui, ha influito nella decisione di milioni di egiziani e muovendo accuse sulla regolarità delle elezioni. Regolarità che è stata, invece, confermata dalla Commissione sulle Elezioni Presidenziali la scorsa domenica.
Ma quale sarebbe stato il piano di Sabbahi? Scegliendo Al Sisi, a cosa ha detto no l’Egitto? Sabbahi, unico candidato ad opporsi alla corsa di Al Sisi, come abbiamo detto, aveva incentrato la sua campagna elettorale su democrazia e stato di diritto. “Cercherò di ottenere giustizia sociale, di ripristinare i diritti della maggioranza che ne è priva, con un’equa distribuzione del benessere e uno Stato democratico in grado di proteggere le libertà e impedire le discriminazioni”.
Il leader della Corrente Popolare Egiziana, partito da lui creato nel 2012, aveva messo al primo posto opportunità egualitarie e uno Stato soggetto alla legge. Ma il richiamo della democrazia, se mai c’è stato, è risultato più debole della necessità di vedere cancellato il nome dei Fratelli Musulmani che in un governo di Sabbahi, invece, proprio perché democratico, non sarebbero tornati “come partito, perché la nuova costituzione vieta i partiti religiosi” ma non sarebbero stati neanche annientati come organizzazione e come individui in quanto “non vi sarebbe alcuna discriminazione in base al credo politico” come aveva lui stesso dichiarato.
L’Egitto ha preferito la promessa di cancellare un passato di violenze e soprusi, a fronte dell’incertezza su quanto riguardi diritti civili, ripresa economica e disoccupazione.