Tennis: ma che musica, maestri! La Nona di Rafa e il bis di Masha stregano Parigi
Al Roland Garros Nadal riscrive la storia con il trionfo n. 9 nelle ultime dieci edizioni, primo giocatore a vincere almeno uno Slam a stagione per due lustri di fila. Tra le donne, una statuaria Sharapova si riprende il trono dopo un anno di interregno di Serena Williams
di Paolo Pappagallo
su Twitter @paul_parrot
“Qu’ils mangent de la brioche!”. Al numero 8 del Bois de Boulogne, nel cuore del XVI arrondissement parigino, lo Stade Roland Garros assomiglia ad una piccola (ma non troppo) Versailles della racchetta mondiale, trono per terricoli che spesso hanno poco di terrestre, nutriti e idratati a palle break e match point tra i “saloni” intitolati ai progenitori Philippe Chatrier e Suzanne Lenglen. Aristocrazia assoluta del tennis e gli altri, appunto, si accontentino – come Ancien Règime insegna – di attingere dalle riserve delle delikatessen dolciarie da forno. Anche magari non di nicchia come i celeberrimi croissant di Gérard Mulot, i migliori di Parigi, nella vicina Rue de Seine.
Come i Borbone e i Valois, Rafa Nadal e Maria Sharapova sono i sovrani indiscussi dell’Open di Francia edizione 2014, loro sì – più di duecento anni dopo – con la testa ben piantata sul collo, oltre che con i piedi saldi sul tappeto rosso nel cuore della Ville Lumière.
RAFA IX – Lui, el Rey Sol, le Parisien Honoraire, l’uomo che fa venire il mal di testa ai suoi stessi biografi nell’aggiornamento, quasi pedissequo, dei suoi record sempre più sensazionali: 35 vittorie consecutive a Parigi dal 2009 a oggi, nona Coppa dei Moschettieri (quinta di fila)nelle ultime dieci edizioni, primo giocatore a vincere almeno uno Slam a stagione per due lustri di fila, per un totale di 14 successi nei Fab Four Tournaments alla pari di un certo Pete Sampras.
MARIA II – Lei, bellissima regina bis – dopo il titolo 2012 – sotto la Tour Eiffel, al quinto trionfo Slam in carriera, emozionata come neppure al primo sbalorditivo successo da minorenne – nel 2004 – nella verdeggiante Wimbledon. Glaciale – come scorza siberiana insegna – nel respingere le stoccate delle nuove bad girls del circuito – dalla Muguruza alla Bouchard, fino alla Halep nell’atto finale – e a non cedere sotto il fardello di una seconda settimana da overdose di spirulina, con quattro durissimi match di 3 set ciascuno messi a referto uno dopo l’altro.
ERBA DI CASA MURRAY – Tennis, amore e gioia infinita: la stagione del clay va in archivio come meglio – per lo spettacolo – non potrebbe. Tra due settimane è già Wimbledon, è già occasione per il maiorchino di lasciarsi alle spalle l’ultimo infelice biennio all’ombra dei courts di Sua Maestà (con conseguenti benefici per il ranking, visti i pochissimi punti da difendere) e per la russa di riscattare un 2013 a Church Road altrettanto deludente (sconfitta nel secondo turno contro la sconosciuta portoghese De Brito), magari puntando ad un altro gustoso bis di primi, dieci anni dopo.
I CAN’T GET NO (SAD-IS-FASHION) – In una metropoli conclamata culla di moda e arte, a fornire testimonianza dell’evoluzione degli eventi allo Stade Roland Garros ci pensano alcune preziose fotografie, frammenti di due caldissime settimane sia sportivamente che climaticamente parlando. Le lingue a penzoloni di David Ferrer e Nole Djokovic, ad esempio – immortalate a fine secondo set, rispettivamente, nei quarti e in finale contro Nadal – sono l’elogio visivo della frustrazione e della fatica di chi può solo scalfire, con la conquista del primo e unico parziale del match, il carapace in titanio del mancino di Manacor. E dire che Rafa si era presentato a Parigi con uno dei suoi più striminziti bottini di sempre sulla prediletta terra battuta: solo due titoli conquistati, tra Rio e Madrid, con Roma e Montecarlo consegnate a Djokovic e Wawrinka. “Vuoi vedere che finisce come nel 2009?”, era il sussurro dei Federeriani e dei seguaci di Nole, ricordando l’unica sconfitta di Nadal in carriera nella Ville Lumière, cinque anni fa negli ottavi contro il sorprendente – irrispettoso, per un doppio finalista Slam, chiamarlo carneade – Robin Soderling. Rien ne va plus, l’iberico sa sempre come trasformare il Chatrier in un Olimpo dal quale scagliare fulmini e saette contro chiunque. E quando l’esecuzione non è immediata – 6-4 per Ferrer, 6-3 per Djokovic dopo il primo giro di boa – tanto peggio per gli altri.
GULBIS DI FULMINE – In mezzo al valenciano n.7 e al serbo n.2 del mondo, ecco emergere la terza pic, e relativo protagonista, al Bois de Boulogne. È il ritratto di un talento perduto e forse ritrovato, certamente importante. La vicenda sportiva del lettone Gulbis, Ernests come Hemingway per volere del padre – magnate dei gasdotti baltici – è la classica storia di chi, annoiato dal proprio talento e obnubilato dalla pigrizia, rischiava di rimanere per sempre risucchiato nel girone degli ignavi della racchetta. Finalmente, alle soglie delle 26 primavere, l’inquieto Ernests ha deciso a Parigi di regalare un assaggio delle sue straordinarie qualità: ottima vittoria in maratona negli ottavi contro un buon Federer -non il Roger di un anno fa, vittima sacrificale di giocatori come Stakhovsky – nettissimo 3-0 nei quarti contro Berdych – premio “completo sportivo più brutto dell’anno” – fino alla semifinale, certo persa in quattro parziali contro Djokovic, ma lottata con coraggio e un pizzico di incoscienza. E se non vi sembra tutto sommato un granchè, sappiate che 12 mesi fa il lettone perdeva al secondo turno in un torneo Challenger a Bergamo…
TALKIN’ ‘BOUT MY GENERATION – Dal tabellone del singolare femminile invece non possono che rimanere molte più testimonianze fotografiche. Bellezze in campo e fuori, certo, ma anche storie di donne coraggiose, confronti anagrafici, sorprese e debacle.
Alla prima categoria non può che appartenere la danese Caroline Wozniacki, n.13 del seeding. Il suo Roland Garros 2014 rimarrà impresso nella contraddizione multistrato tra un torneo deludente – sconfitta nel primo turno contro la belga Wickmayer – l’espressione apparentemente serena anche dopo il brutto risultato, forse per la consapevolezza di aver comunque dato tutto, e quel tarlo nel cuore ancora fresco per l’addio del fidanzato Rory McIlroy ad un passo dalle nozze.
Solo di debacle sportive invece, per fortuna, si parla incorniciando i volti delusi di Serena Williams, Na Li e Agnieszka Radwanska.L’imbattibile, la guastafeste e l’eterna incompiuta tornano da Parigi a pezzi con colpi da k.o. tanto inattesi quanto ferali. Forse anche perché, dietro di loro, la New Generation del tennis in rosa è ormai realtà. Gli exploit delle sopracitate Gabine Muguruza, Eugenie Bouchard e Simona Halep sono la prova provata che qualcosa sta cambiando, perlomeno a livello di sound in campo, direttamente dagli anni ’90: classe ’93 la spagnola, ’94 la canadese e ’91 la rumena. L’ultima ad arrendersi stoicamente, in finale, contro la Sharapova, che a 27 anni sembra quasi una veterana a dispetto delle avversarie. Sempre a proposito della Halep, tenetela d’occhio anche nei prossimi due Slam: negli ultimi 12 mesi ha vinto 7 tornei (in 9 finali) dal rosso di Norimberga all’erba di S’Hertogenbosch fino al cemento di New Haven, passando dalle Top 30 al 3° posto della classifica mondiale. Bookmakers avvisati…
BIANCO, NERO E AZZURRO – Le immagini degli azzurri allo Stade Roland Garros assumono invece tinte più fosche, ma tutt’altro che plumbee nella sempre ostica parentesi tra i cugini francofoni. Logico qualcosa sia cambiato dopo la belle epoque del triplete di finali targate Francesca Schiavone e Sara Errani tra il 2010 e il 2012, ma la performance di Sarita rimane comunque decisamente positiva. Certo, la Petkovic nei quarti era avversaria tutt’altro che insormontabile, considerando anche il “buco” lasciato da Na Li nella parte bassa del tabellone, ma la romagnola ha dimostrato bel gioco e concretezza finchè la forza nelle gambe – evidentemente esaurita per la finale del doppio con la Vinci contro le asiatiche Peng-Hsieh – è rimasta dalla sua. Male invece Flavia Pennetta, fuori già al secondo turno contro la modesta Larsson.
Tra gli uomini, 6 in pagella tiratissimo per gli alfieri Seppi e Fognini. Un po’ perché l’altoatesino al terzo turno contro Ferrer moltissimo non poteva fare, un po’ perché il ligure è crollato al quinto set di un match tiratissimo e condotto da un Monfils letteralmente telecomandato dal pubblico di casa. Roma fu “kaput mundi”, da Parigi invece si può ripartire con un po’ di convinzione e tanta – rispetto a Montecarlo – educazione civica in più.