Ritorno di fuoco in Iraq
La scommessa statunitense paga ora la sua pena in un Iraq riavvolto su stesso. Tutto ciò che si credeva sconfitto o per lo meno placato, è tornato ora ad incendiare un Paese stanco della guerra e dell’instabilità venale
di Martina Martelloni
Ancora bombe, ancora esplosioni, ancora attentati con inarrestabili sentimenti di odio e rancore verso un clima esistenziale deprimente ed instancabile, che non lascia spazio alla ricostruzione ed alla fiducia di un popolo, il popolo iracheno. Quello che è accaduto e accade tutt’ora nella terra del Tigre ed Eufrate, si compone di diversi elementi e cause d’origine – nonché altrettante differenti effetti collaterali ed ipotetiche ripercussioni geopolitiche in n un’area frenetica come quella mediorientale.
Gli insorti jihadisti, che fanno capo all‘ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), sono riusciti in un arco di tempo inaspettatamente limitato ad impadronirsi della città di Mosul, seconda per grandezza in Iraq, per poi radicarsi nel territorio regionale di Tallafar come macchia d’olio nero, travolgente e dal segno indelebile.
Dall’inizio di gennaio 2014, l’Isis aveva già conquistato Ramadi e Falluja – alle quali ha fatto seguito Kirkuk – ed ora il governo centrale inizia davvero a tremare.
Il protagonista collettivo delle guerrafondaie vicende irachene non è solo una sigla, un acronimo o un semplice gruppo ribelle e terrorista. Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante agisce con fini ben definiti e con azioni dettagliatamente studiate. Nato nel 2003 nel pieno della guerra e dell’invasione statunitense in loco, questo movimento jihadista su base sunnita ha stretto rapporti e incastri subdoli con la rete di Al Qaeda. Quasi dieci anni di buon vicinato, incrinatosi poi con l’avanzare degli atti di violenza proprio per mano dell’Isis nel territorio iracheno e siriano.
Un movimento, due Stati: Siria ed Iraq rappresentano il cuore pulsante del progetto ultimo jihadista. Dare vita ad un califfato unico fondato sulla legge islamica della Sharia, calpestando così il governo centrale di Baghdad e il regime siriano di Assad. Questa è la stella che ogni componente dell’Isis insegue e proietta nel suo agire reazionario, una posizione di forza che caratterizza questo movimento combattente in grado addirittura di tener testa ai militari regolari iracheni.
Chi tende a malapena le fila del potere in questo Stato esente da istituzioni stabili ed efficienti, è il primo ministro sciita Nuri Al Maliki -che si è mostrato incapace di controllare tutto il territorio e che, nella gestione del suo potere, è reo d’aver applicato politiche settarie molto dure contro la minoranza sunnita. Alla problematica religiosa, però, si allega anche il confine poroso e pericolante con la Siria dell’alawita Assad. Una linea divisoria facile da scavalcare e trasformare in dogana per merci. Peccato però che le merci in questione siano armi ed essere umani, che transitano da una parte all’altra senza incorrere in particolari problemi.
Su questo mare di caos, naviga velocemente l’Isis estendendo sempre più il suo velo di controllo. Ad oggi la reazione internazionale risulta essere poca, vaga e soprattutto indefinita. Dalla Casa Bianca, Barack Obama ha lanciato l’invio di 275 uomini ai quali, è stato detto, di evitare azioni sul campo. Altro riflesso di risposta è giunto dall’Iran, paese vicino seppur nemico nella Storia, il quale si è detto disposto a dialogare per fronteggiare la minaccia jihadista (ricordiamo: l’Iran è il principale paese musulmano sciita, dunque ne ha tutti gli interessi difensivi ad agire).
Il lato umano non può essere trascurato; il pellegrinaggio di piedi in fuga dall’Iraq prosegue ed aumenta. Il 6 giugno l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) ha comunicato un numero di circa 480 mila anime vaganti dalle case dell’Iraq. Si corre via dalla violenza e si cerca una meta di protezione nonostante le risorse ed i luoghi sicuri siano pochi, pochissimi per far allietare tutti coloro che dal 2003, se non prima con Saddam Hussein, subiscono una vita vittima di decisioni altrui.
Una risposta
[…] che si trovi in volo. Questo potrebbe accadere in un area così in degenerante caos come l’Iraq di oggi, paese nel quale i sunniti jhihadisti hanno autoproclamato il Califfato […]