“Le meraviglie”: Alice Rohrwacher e il trionfo al Festival del cinema di Cannes
Grand Prix della 67esima edizione, l’opera seconda della regista toscana è un film di respiro finalmente internazionale, dove si narrano dolori e meraviglie della campagna della vecchia Etruria tramite i sogni e le ribellioni dei suoi pochi abitanti
di Giulia Marras
su Twitter @giulzama
“Il mondo sta per finire”
Così come lo conoscevamo, o, meglio, conoscevano i nostri genitori, venti, trenta anni fa, il mondo è cambiato radicalmente, a partire dalla formazione dei nuclei familiari, il paesaggio nel quale crescono e la televisione dalla quale sono accompagnati, forse plasmati, forse informati o corrotti per sempre.
Di questi tre temi sembra parlare principalmente Le meraviglie, secondo lungometraggio di Alice Rohrwacher, film vincitore del Grand Prix nell’ultima edizione del Festival del Cinema di Cannes. Le meraviglie arriva come un extraterrestre nello stagnante, ma in parte ignorato, panorama del cinema italiano d’autore, come già il Corpo Celeste, opera prima della regista, poetico ritratto della fine d’infanzia a Reggio Calabria, tra catechismo e “particolari” politiche parrocchiali e una spiritualità adolescenziale legata alla scoperta di una terra straniera.
Nel secondo lavoro, torna una protagonista adolescente, Gelsomina, torna un’ambientazione ostica e personaggi corollari solidi a completare quello che possiamo chiamare non tanto un racconto di formazione, bensì una suggestione allo stesso tempo intima e misteriosa su uno spaccato di vita di una famiglia di contadini collocata lontana nel tempo e nell’immaginario consueto contemporaneo.
Gelsomina vive infatti in un vecchio casale in mezzo alle campagne rurali toscane, durante quelli che sembrano essere gli anni Novanta (la regista tiene a sottolineare l’unica indicazione data: “È una storia ambientata dopo il Sessantotto, basti questo”), all’interno di una famiglia mista: un padre tedesco, madre italo-francese (interpretata da Alba Rohrwacher, vera sorella di Alice), tre sorelle e altri due membri stranieri che non mancheranno di creare ulteriore conflitto.
Le fondamenta della storia risalgono alla biografia della sceneggiatrice e regista, nomade europea e figlia di apicoltori tedesco-toscani. Il miele e il lavoro in campagna sono il fulcro centrale anche della famiglia di Gelsomina: una dedizione alla terra e alla natura dettata non tanto dalla semplicità di uno stile di vita bucolico, il quale anzi viene annullato dalla durezza del lavoro, bensì da una ribellione ideologica al conformismo e all’industrializzazione della città.
Gelsomina è anche Alice. Regista delle esibizioni (come quella di T’Appartengo di Ambra) della sorella, Alba-Marinella, inadeguata ed esonerata dal lavoro paterno ma pure oggetto di uno sguardo attento e severo, quello della maggiore, erede invece predestinata e prediletta dal padre Wolfgang grazie al suo rapporto privilegiato con le api.
Ben presto però la durezza patriarcale, le incomprensioni dettate probabilmente dalla difficoltà di linguaggi diversi, dall’appartenenza a un non-luogo, dalla distanza tra sensibilità e generazioni, dovranno affrontare la tenerezza (apparente) e l’ingenuità del mezzo televisivo, nelle sembianze di Milly Catena, interpretata da Monica Bellucci, in una piccola parte di “un personaggio che le viene attribuito, senza chiedersi se ancora le corrisponda o meno, e forse no”, dice la Rohrwacher. Elemento quasi fiabesco, come l’intervento fantastico della Ramazzotti in Bellas Mariposas di Salvatore Mereu, Milly e la televisione intervengono nella vita di Gelsomina come una scappatoia alla vita da ape operaia, ma non in quanto strumento di inganno e corruzione, bensì contenitore “innocente, una televisione pre-analitica. […] Perché violento è il mezzo televisivo quasi più della sua storia” (dal pressbook ufficiale).
Non è la televisione a corrompere l’innocenza di Gelsomina e della sua famiglia: sono loro stessi che non ritrovano più il senso di combattere una lotta contadina e proletaria contro il nuovo che avanza inesorabile, nel rifiuto per esempio di rimodernare il laboratorio per la produzione del miele, nelle urla di Wolfgang contro i cacciatori, nell’innalzamento dei muri intorno a un territorio vergine e una figlia adolescente intrappolata tra l’amore per il padre e il bisogno di una via di fuga. Forse il regalo promesso di un cammello, parallelamente al rischio di perdere tutta l’attività, simboleggiano proprio gli ultimi sprazzi di favola nella mente dei sogni sessantottini contro la borghesia imperante, in un mondo campestre che però sta inevitabilmente evolvendosi.
Le meraviglie è un film importante perché riesce a ristabilire un nuovo stile italiano, riconosciuto anche all’estero; non senza difetti, non senza difficoltà di immersione in un mondo su più livelli, con personaggi ardui da scardinare e scene enigmatiche da interpretare. Il precedente Corpo Celeste, seppur ancora più pittorico ed evocativo, risultava essere più coinvolgente.
Comunque sia, nella ricerca e nella costruzione di nuovo immaginario cinematografico italiano, l’opera seconda di Alice Rohrwacher è un meraviglioso passo avanti.
Una risposta
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