Daily Fringe #oltreilteatro – XII puntata
Il Roma Fringe Festival seguito dagli inviati di Ghigliottina.it, media partner della manifestazione romana
Con “Cielo Azzurro Fango” basta la drammaturgia del corpo a raccontare la verità dell’ Io e della malattia
(di Angela Telesca)
“Ci rappresentiamo. Quel primo istante è il riconoscere qualcosa che ti appartiene dell’altro, la fusione di qualcosa, di un essere. Quello è nudo. Quel solo e unico momento” è la verità del teatro, al di là di ogni divisione di genere, che sia narrazione, teatro classico, danza o performance.
Quando si assiste alla rappresentazione dell’Essere, ci si riconosce nell’Altro e nella sua nuda essenza, nella sua verità e si assiste al rito dell’arte.
È “Cielo, Azzurro Fango”, la performance accolta al Roma Fringe Festival come progetto performativo off, fuori dalla linea, in gara insieme ad altri spettacoli che siamo più abituati a vedere sulle nostre scene.
È drammaturgia scenica del corpo e della voce, parole live e registrate si fondono con il corpo in movimento per raccontarci la vita storpiata dalla malattia. Rifiuto, lotta, reazione e accettazione.
Con movimenti lenti e scattanti, ripetitivi, forti, veloci e angoscianti, sofferti, il corpo narra, si esprime, evoca stati d’animo, da solo o con la collaborazione della voce e degli oggetti scenici: sedie, specchio, sigaretta, bastoni, cappello.
È l’uomo, nel momento della sua vecchiaia, a ritornare nel luogo della memoria, a dialogare con sé, con il proprio passato, con l’amore perduto, con il proprio Io, frammentato, disgregato in mille pezzi, perduto dopo quell’incidente che gli ha impedito l’uso della gambe e che non gli ha permesso di essere più ciò che era e ciò che avrebbe voluto essere.
Tra sacro e crudeltà, in scena c’è la verità del gesto. I moti dell’animo sono i moti del corpo. Inquietante e coraggioso esperimento.
Cielo Azzurro Fango
di e con: Adriano Montorsi
supervisione scenica: Daniele Paganelli
produzione Ludovico Van Teatro
Palco C | 25 giugno, ore 23.30 – 26 giugno, ore 20.30 – 27 giugno, ore 22
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“Groppi d’amore nella scuraglia”: tra lotte d’amore e lotte civili. Il teatro ospita la fabula in versi del rude e romantico Scatorchio
(di Angela Telesca)
Pochi elementi scenici possono bastare a rappresentare una storia ricca di immagini, di emozioni, di elementi narrativi purché ci si affidi alle qualità mimiche ed espressive dell’attore. Il giovane Silvio Barbiero ha dato grande prova del suo talento nell’ ottima performance da “cuntastorie” in Groppi d’amore nella scuraglia”.
Un racconto poetico e genuino, mediterraneo e appassionato del mondo contadino e dei personaggi che lo popolano. Ricorda le atellane del teatro latino dove i luoghi agresti non sono ameni ma grotteschi e i personaggi non sono ingenui ma maschere farsesche.
Il ruvido Scatorcio, con il suo frac clownesco, simpatizza con il pubblico e grazie ai versi poetici la sua rude oscenità cede il posto al nostalgico romanticismo soprattutto quando si rivolge a Gesù e alla luna per confidarle il suo amore per Sirocchia, un amore immaginario e carnale, tra sesso, scaramucce, “doglie” e lotte civili contro l’arrivo dei rifiuti.
La lingua che l’autore ha pensato per il suo personaggio è invenzione della sua penna. Si tratta di una miscellanea di sonorità arcaiche meridionali, onomatopeiche e archetipiche che catapultano lo spettatore in una realtà d’altri tempi.
Hai subito la percezione che quel paese “de lu munno meridione” appartenga a tutti e sia l’archetipo di ogni Sud del mondo abbandonato dallo Stato e regno di soprusi, violenze, povertà e rifiuti. Ottimo esempio di teatro in versi che sa denunciare senza dimenticarsi di far ridere, sognare, immaginare, emozionare.
Groppi d’amore nella scuraglia
di Tiziano Scarpa
con Silvio Barbiero
scene di Paolo Bandiera
costumi di Anna Cavaliere
musiche di Sergio Marchesini e Debora Petrina
regia di Marco Caldiron
produzione Carichi Sospesi
Una risposta
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