Turchia: le prossime sfide del sultano Erdogan
Il primo luglio l’AKP scioglierà le riserve attorno al suo possibile candidato alla presidenza. Vi sono pochi dubbi che sarà Erdogan a correre per le prime presidenziali a elezione diretta della storia della Turchia
di Emanuele Martino
Sarà una calda estate quella del popolo turco, chiamato a votare il Presidente della Repubblica il 10 di agosto, con possibilità di ballottaggio il 24 in caso nessuno dei candidati raggiunga il 50+1. A contendersi la poltrona dell’attuale presidente Gul saranno Ekmeleddin Ishanoglu, ex segretario della Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC), ed Erdogan, ormai al potere da 2002 e con un mandato in scadenza da primo ministro.
L’elezione a suffragio universale del Capo dello Stato rappresenta una svolta istituzionale, per la Turchia: il futuro presidente godrà di una solida legittimità popolare che gli consentirà di entrare a gamba tesa negli equilibri politici di Ankara. Tra i nuovi compiti che gli spetteranno infatti, spiccano la promulgazione di leggi e la possibilità di indire nuove elezioni parlamentari.
La scelta di Ishanoglu. Il CHP (Popolare Repubblicano) e l’MHP ( Movimento Nazionalista) hanno messo in campo, per le presidenziali, una personalità diplomaticamente di spessore. Ishanoglu, tuttavia, è una figura conosciuta per le sue doti accademiche e per essere uno studioso dell’Islam – non molto avvezzo ai giochi politici e alla rincorsa al consenso.
La decisione di affidarsi a lui potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per i partiti di opposizione in ragione anche del suo avversario; Erdogan è uno squalo della politica, ha un’esperienza decennale all’interno del Parlamento e più volte non ha nascosto la sua anima populista e propagandista.
L’aspetto positivo potrebbe essere rappresentato dal fatto che un candidato di orientamento conservatore come Ishanoglu potrebbe andare a pescare voti in quella parte di elettorato ormai stanco di votare Erdogan. Vista anche l’ampia vittoria di quest’ultimo alle recenti amministrative, la sua vittoria rimane comunque poco probabile.
La questione curda. I voti della numerosa comunità curda in Turchia possono giocare un ruolo fondamentale per i due candidati. La decisione del governo, guidato dal AKP, di dar vita ad un progetto di legge che legalizzi pienamente il processo di dialogo con il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ha come principale scopo l’alleggerimento delle posizioni di Ankara verso un territorio da sempre destabilizzante.
La caccia al consenso di Erdogan passa anche per la normalizzazione dei rapporti con Ocalan, leader del PKK, che nonostante sia in ergastolo, mantiene un ruolo decisionale importante. Particolarmente rilevante è anche il confine iracheno: l’Isis tiene ancora in ostaggio più di 30 cittadini turchi tra cui il console di Ankara ed il suo staff presente a Mosul, e può in ogni modo rendere precari gli equilibri del confine. La ripresa del dialogo con il primo ministro iracheno Al-Maliki e con il Presidente del Kurdistan Barzani, potrebbero ostacolare i possibili disordini jihadisti.
Una deriva autoritaria? Il mandato presidenziale dura cinque anni con possibilità di ricandidatura per altri cinque. Per Erdogan si aprirebbe un nuovo ciclo politico. La sfida non appare di facile soluzione: la società turca da tempo ormai sta cambiando pelle e il leader dell’AKP dovrà affrontare in altro modo, che non sia la polizia nelle strade, il crescente malcontento popolare. E’ difficile dire se i fatti di Gezi Park, la soppressione temporanea dei servizi on-line come Twitter e YouTube, gli scandali che hanno investito il partito, possono essere giustificati come mezzi necessari per favorire la stabilità e fermare supposti complotti occidentali.