Il Governo lancia la "rivoluzione" del POS
Pagamento elettronico per acquisti sopra 30 euro. Il POS diventa obbligatorio per attività commerciali e professionali. Costi elevati e assenza di sanzioni rischiano, però, di farlo rimanere solo sulla carta
di Mattia Bagnato
Da ieri 1° luglio è entrato ufficialmente in vigore l’obbligo, per tutti i professionisti, di dotarsi del Point of Sale (POS). Questa modalità di pagamento elettronica, dovrà servire da strumento di contrasto alla “piccola” evasione, rendendo più facilmente tracciabile il flusso di denaro. Al netto dei risultati che riuscirà ad ottenere, di cui avremo modo di parlare in seguito, si tratta di una vera e propria rivoluzione per un paese, l’Italia, da sempre ostile a questo tipo di innovazioni, come dimostrano le immediate reazioni che stanno caratterizzando il dibattito pubblico.
Che cos’è – Introdotta dal Governo Monti nel 2012 all’interno del decreto crescita 2.0, ma più volte rinviata, la norma obbliga tutti gli esercizi commerciali e le attività professionali ad accettare pagamenti, da un minimo di 30 euro, con bancomat, carta di credito o di debito. La motivazione alla base del provvedimento, oggettivamente nobile, è quella di riuscire a recuperare almeno una parte dei miliardi di euro di IVA annualmente evasi dai piccoli commercianti (17% del Pil secondo Banca Italia), ma anche quello di ridurre i costi per la produzione e la circolazione del denaro contante sul territorio nazionale, 8 miliardi di euro secondo il Ministro Guidi.
Sanzioni – Di tutta la normativa, quella che riguarda le sanzioni, è sicuramente la parte più controversa, che rischia di creare maggiore imbarazzo. Nel provvedimento, infatti, non sarebbe prevista nessuna sanzione pecuniaria per coloro che si rifiuteranno di dotarsi del POS, almeno per ora. Nel frattempo, però, monta la polemica sollevata dalle associazioni dei consumatori, che hanno interpretato l’assenza di un deterrente come la palese manifestazione della debolezza dello Stato nel far rispettare quest’obbligo. A prescindere dalle critiche mosse da Carlo Rienzi, Segretario del Codacons, resta il fatto che l’introduzione dell’obbligo di dotarsi del POS senza prevedere sanzioni, sembra a tutti gli effetti “una arma spuntata contro l’evasione“.
I costi – Secondo uno studio condotto dal Cgia di Mestre, un imprenditore con un giro di affari di 100 mila euro l’anno dovrebbe spendere dai 1183 euro per il modello base del POS, fino a 1240 euro per il modello GSM. A questi costi, poi, devono essere aggiunti quelli relativi a: costo d’istallazione (115 euro), commissioni bancarie mensili (2,19 euro sull’importo) e canone mensile (24 euro), tutte spese a carico degli esercenti. Un peso insostenibile per i piccoli commercianti i quali, intervistati, hanno sottolineato come, nella maggior parte dei casi, gli importi incassati per ogni singolo cliente sono di poco superiori ai 30 euro. Edicolanti, bar e alimentari temono, quindi, di perdere la loro redditività a causa delle commissioni troppo alte.
Il ruolo delle Banche – “Gli effetti dell’obbligo del POS sono limitati. Le cose cambieranno davvero solo quando coinvolgeremo le banche”, questo il commento di Antonio Longo, presidente del Movimento a difesa del cittadino e della Iepc (Italian e-payment coalition). In questo senso, alcuni artigiani liguri sono riusciti a stipulare un accordo con l’istituto Qui! Group, che gli ha permesso di ottenere condizioni molto più favorevoli rispetto ad altri contesti. Da questo punto di vista, però, c’è ancora molto da fare; lo afferma anche lo stesso Ministro Giudi, il quale ha confermato la necessità di aprire un tavolo di trattative con gli istituti bancari al più presto. La soluzione, secondo Confesercenti, potrebbe essere quella di ridurre il peso fiscale sui commercianti, come hanno fatto in Argentina e Corea del Sud con ottimi risultati.
Cause – Per capire cosa impedisce all’Italia di mettersi alla pari con gli altri paesi d’Europa, bisogna guardare al di là dell’aspetto puramente economico, facendo ricorso ad una spiegazione diversa, quella della “cultura del contante“, ancora troppo diffusa. Ad oggi, infatti, sono ancora 3 milioni le imprese che non dispongono di un POS, mentre sarebbero solo 74 il numero di transazioni pro capite effettuate ogni anno in Italia, su un totale di 194 dell’intera eurozona. Secondo il politecnico di Milano, poi, nel nostro paese l’86% dei pagamenti avviene in contanti a fronte di una media europea del 59%. I Paesi Bassi sono il paese dove si paga di più con carta di credito (349 transazioni pro capite annue) seguito dal Regno Unito (292%); anche la Spagna, però, ci ha superato per numero di transazioni elettroniche (121%). A pesare molto in Italia sarebbe soprattutto, secondo gli intervistati, la diffidenza nei confronti di queste modalità di pagamento, ma anche l’idea che il valore intrinseco del denaro sia solo nel contante.
(Fonte immagine: www.visionedioggi.it)