L’Afghanistan a S. Joan Baptiste au Beguinage
Nel cuore dell’Europa, un esempio di convivenza tra Islam e Cristianesimo
di Elisa Di Benedetto
Mentre in Italia cresce il numero delle chiese e delle parrocchie che aprono le porte ai migranti e contribuiscono all’accoglienza, a Bruxelles la chiesa cattolica di S. Giovanni Battista è da anni simbolo di solidarietà, ma anche della battaglia per i diritti dei migranti e della convivenza tra religioni diverse.
Da qui, giovedì 26 giugno, è partita la “March for Freedom” che ha portato centinaia di migranti, rifugiati, attivisti provenienti da tutta Europa davanti alle istituzioni europee per far sentire la propria voce ai ministri riuniti nel summit sull’immigrazione e manifestare contro la “Fortezza Europa”.
Da anni, ormai, la chiesa è un punto di riferimento per i migranti, che tra le sue navate trovano un rifugio sicuro. Oggi, al suo interno, vivono i richiedenti asilo afghani che, dopo mesi di viaggio per raggiungere l’Europa e innumerevoli richieste di asilo politico, sono in attesa di vedere riconosciuto lo status di rifugiato. Nelle tende allestite tra le alte colonne, vivono una trentina di giovani, tutti uomini.
A novembre, quando il parroco Daniel Alliet ha dato loro ospitalità, l’intera superficie della chiesa era stata liberata per fare spazio a brande e materassi. “Eravamo circa 400 persone. Con noi c’erano famiglie, con donne e bambini. Poi, un po’ alla volta, se ne sono andati” – racconta F., 25 anni, che è arrivato in Belgio tre anni fa e vive al Beguinage dopo che la sua richiesta è stata respinta. “Alcuni, hanno avuto esito positivo alla richiesta di asilo e sono stati trasferiti nei centri di accoglienza. Altri se ne sono andati in altri Paesi. Noi stiamo ancora aspettando e non ce ne andremo”.
Nella chiesa di S. Giovanni Battista, hanno trovato l’ospitalità e la sicurezza che non hanno trovato altrove. “Siamo arrivati qui dopo che la polizia ha sgomberato gli edifici dove ci eravamo rifugiati. Padre Daniel ci ha permesso di entrare e restare”. Nelle tende, tappeti, coperte, cuscini, con gli oggetti di tutti i giorni aiutano a recuperare un po’ di quotidianità e a rendere accogliente la sistemazione temporanea in cui dormono, trascorrono il tempo, condividono le proprie storie con i cittadini portano loro abiti e cibo. La giornata comincia con un tè al cardamomo e prosegue con la ricerca di un lavoretto in nero e una partita a calcio.
L’architettura barocca fiamminga della chiesa accoglie anche le preghiere che i fedeli sunniti e sciiti rivolgono ad Allah. “La mattina presto, prima che la chiesa apra ai fedeli e al pubblico, preghiamo. Poi, durante il giorno, rispettiamo la sacralità di questo luogo e i fedeli cristiani che vengono a pregare. Per non disturbare, durante le celebrazioni, stiamo in silenzio o usciamo e andiamo a pregare nella moschea”, raccontano i giovani musulmani.
Per gli “afghani del Beguinage”, alle difficoltà di un’integrazione ostacolata dai
pregiudizi, si aggiungono le reazioni della comunità musulmana. ,“I fratelli ci chiedono come mai viviamo in una chiesa. Per alcuni di loro non è possibile che dei musulmani vivano all’interno di un luogo sacro cristiano e sappiamo che in Afghanistan questa notizia ha suscitato molte domande” – spiega F., raccontando i timori per le possibili conseguenze nel proprio Paese, dove esiste il reato di apostasia. “Sappiamo che il fatto di vivere qui non viene accettato, soprattutto perché alcuni pensano che ci siamo convertiti. In Internet, abbiamo letto minacce di persecuzione di esecuzione per gli afghani che si trovano a Bruxelles. Pensano che ci siamo convertiti per il solo fatto che ci troviamo qui e abbiamo partecipato a manifestazioni e proteste. In realtà, questo è l’unico luogo in cui siamo al sicuro”.
Temono che possa essere legata a ciò anche la morte di Aref. Il suo volto è tra le immagini che accolgono i visitatori all’ingresso della chiesa, insieme a una serie di foto e ai pannelli informativi a cura del Collettivo profughi afgani sulla situazione dei richiedenti asilo a Bruxelles e in Europa. “Lui era uno di noi. Come tanti altri, era scappato dall’Afghanistan a causa delle minacce dei Talebani” – raccontano i giovani. Arrivato in Belgio nel 2009, Aref aveva presentato richiesta di asilo quattro volte, ma il governo belga ha ritenuto la sua storia poco credibile e per quattro volte ha respinto la sua domanda, ritenendo che l’Afghanistan non rappresentasse un pericolo per lui. Incoraggiato dal governo al “rimpatrio volontario”, nel 2013 è tornato nel proprio Paese, dove è stato ucciso dai Talebani.
“Per noi non ci sono problemi” – aggiunge T., che è arrivato in Europa nel 2005 a soli 13 anni, e ha vissuto con una famiglia cristiana. “Ho sempre incontrato rispetto, indipendentemente dalla mia provenienza etnica e religiosa. Rispettiamo i cristiani e siamo loro riconoscenti per l’ospitalità e per l’attenzione verso la nostra situazione. Se fai del bene, riceverai del bene, dice la nostra religione”.
Ama il prossimo tuo, dice la Bibbia.
*L’articolo è stato realizzato nell’ambito del “Promoting Excellence in Global Coverage of Religion Program”, promosso da International Center For Journalists e The Henry Luce Foundation