Due popoli, due religioni, una Terra
Attacco contro attacco. Dall’uccisione dei tre giovani studenti israeliani, l’escalation di violenza tormenta Gaza. Israele persiste con i raid, Hamas risponde con i razzi
di Martina Martelloni
Nel 1948 nasce lo Stato d’Israele. Quaranta anni dopo, nel 1988, il Consiglio Nazionale Palestinese, riunito ad Algeri, proclama lo Stato di Palestina: il governo israeliano ne rifiuta il riconoscimento ed approva nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati. Timidi e sporadici periodi di tentato dialogo e ricerca di compromesso si sono alternativamente ripresentati da quel fatidico anno, ed oggi il ritorno delle viscerali ostilità e storiche rivendicazioni, riportano il fuoco sulla terra di Israele e Palestina.
Una settimana intera di attacchi via aerea compiuti dagli uomini dell’esercito israeliano Tshaal riuniti sotto la stella militare marchiata operazione “Protective Edge”. Raid dai cieli che nella sola Striscia di Gaza hanno causato quasi 160 vittime e più di novecento feriti, case e villaggi distrutti. Chi può, disperatamente trovandone il coraggio o semplicemente lotta alla sopravvivenza, cerca di fuggire via verso confini e territori lontani dalle esplosioni.
Hamas risponde senza tregua e lancia l’attacco di missili contro le città Israeliane colpendo anche l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv e la stessa capitale Geusalemme. Dall’alto delle nuvole si è scesi in basso ed è ufficiale il via alla temuta operazione via terra; il tenente colonnello Peter Lerner si è caricato sulle sue spalle la responsabilità di divulgare l’annuncio, incorniciando la notizia con giudizio di buon esito dell’attacco.
Ogni raid, ogni singolo fuoco e distruzione di mano israeliana, viene accompagnata dalla ripetuta premessa con fine giutificatorio: eliminare le basi di lancio missili di Hamas. Peccato però che talvolta queste presunte basi terroristiche siano in realtà comuni edifici come orfanotrofi e villaggi abitati da gente normale – quella normalità che ora viene calpestata sotto gli stivali dell’esercito israeliano e delle milizie islamiche.
Risuonano le sirene di allarme nelle città israeliane di Haifa, di Naharya, di Hadera – mentre nel territorio abitato dai palestinesi volano volantini dai cieli con parole di allarme e di paura: “Chiunque trascuri le istruzioni dell’esercito metterà in pericolo la vita di se stesso e della sua famiglia. Attenzione”.
L’esercito israeliano avverte uomini, donne e bambini dei villaggi ad abbandonare le loro case, fuggire via, prima che abbia inizio il bombardamento sulla zona di Beit Lahya, Salatin e ad a-Atrata nel nord Striscia di Gaza.
Rappresaglia e voci di odio per troppo tempo tenute sotto il tappeto della reciproca sopportazione ma soprattutto l’ingenua convinzione che il tempo avrebbe placato in silenzio l’insofferenza del popolo palestinese le cui terre subiscono colonizzazioni e prese di posizione da parte del governo di Netanyahu, che avverte: “Israele continuerà ad operare a Gaza per ristabilire la tranquillità”.
Il gruppo islamico di Hamas prosegue la sua contropartita di guerra, con le armi e con le parole. Da giorni si è infatti intensificata la propaganda mediatica mirata a sensibilizzare la popolazione palestinese al fianco dei miliziani esaltati ad “eroi combattenti” il cui unico obiettivo è la cancellazione dei sionisti. Così, non solo internet con i suoi siti web e youtube come megafoni di infiammazione nazionalistica, ma anche la televisione racconta la lotta degli islamisti con l’emittente Al Aqsa – fedele complice di manipolazione informativa pro Hamas.
Lo scenario che si evince da questo ritorno di guerra, è alquanto incerto e preoccupante in tutta l’area mediorientale. I dubbi su quale attore regionale potrà mai affiancarsi con l’una o l’altra forza militare/statale, sono in graduale crescita considerando la crisi interna all’Iraq, macchiato dalla nascita del Califfato del Levante sunnita, nonché da un Egitto militaresco e grottesco che ripugna l’ala dei Fratelli Musulmani vicini ad Hamas.
Le voci internazionali sono ancora fievoli alle orecchie dei combattenti; gli Stati Uniti assumono ruolo protagonista, come la Storia insegna e si dicono pronti ad intervenire per aiutare il raggiungimento di una tregua, mentre il presidente palestinese Abu Mazen chiede aiuto all’Onu affinchè si arresti l’estenuante violenza e che venga creato uno stato di protezione internazionale sulla Palestina.
Unica certezza di ora è il rumore assordante delle bombe provenienti da entrambe le fazioni, l’aumento dei feriti e le migliaia di sfollati palestinesi.