Rapporto sul Cinema in Italia 2013: troppi film, poca distribuzione, poca qualità
Presentata l’analisi statistica condotta nel settore cinematografico, nella sua sesta edizione: ne emerge un quadro di riassestamento degli incassi grazie a Zalone e Sorrentino, ma anche un crollo degli investimenti e del sostegno del FUS, nonchè calo qualitativo generale dovuto alle produzioni in eccesso
di Giulia Marras
su Twitter @giulzama
È stato presentato lo scorso 9 luglio il nuovo Rapporto sul Mercato e sull’Industria del Cinema in Italia, basato sulle condizioni di oltre 6.000 aziende nell’anno 2013; la pubblicazione è stata edita per la prima volta insieme al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) insieme alla Fondazione Ente dello Spettacolo (FedS) e nella sua versione completa è corredata anche da una serie di Focus e testimonianze (dell’ Associazione Produttori Televisivi – APT, dal Centro Sperimentale di Cinematografia,dalla Fondazione Cinema per Roma e il Festival Internazionale del Film di Roma, dall’Istituto Luce-Cinecittà), nonché da una sezione dedicata alle Film Commission regionali.
Nonostante i toni ottimistici del rapporto, dovuti al record assoluto di incassi di sempre di Checco Zalone con Sole a Catinelle e alla visibilità ottenuta con l’Oscar di Paolo Sorrentino e La Grande Bellezza, la situazione che emerge, non con sorpresa bisogna ammetterlo, non è delle più rosee, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori del settore, i quali vedono crollare gli investimenti, calati in un anno di circa 40 milioni di euro, e l’ulteriore ribasso del Fondo Unico per lo Spettacolo; lavoratori per altro stabilizzati solo al 44,8%.
È vero, i titoli italiani hanno riconquistato il 30% (dopo il 25 del 2012) degli incassi totali, ed è vero, il cinema resiste molto meglio di qualsiasi altra attività culturale, almeno nella ricezione del pubblico, ma se vogliamo provare a interpretare i dati offerti, la tendenza generale risulta alquanto contraddittoria, qualitativamente bassa e ancora chiusa ai giovani e alle piccole aziende (il 96,3% delle aziende impegnate nell’audiovisivo ha meno di 19 addetti e produce appena il 30,6% del fatturato totale mentre la minoranza delle aziende con più di 20 addetti, il 3,7%, produce il 60,3% del fatturato di settore). Che poi sia Zalone a risollevare il bilancio economico del cinema italiano è un fatto che parla da sé, senza considerare neanche il “Grande Dibattito” scoppiato a proposito de La Grande Bellezza, film che, piaccia o no, racconta della decadenza della classe intellettuale italiana, del suo adagiarsi su vecchi allori, inventandosi scuse della propria indifferenza verso la società reale.
Ed è esattamente questa la tendenza più preoccupante che si evince dal Rapporto: mentre i giovani tentano di produrre maggiormente, con poche risorse (aumentano i film a basso costo, sotto i 200 mila euro) e con poca distribuzione, i grandi titoli, di autori già conosciuti, godono di più domanda, finanziamenti e ovviamente distribuzione. Il risultato paradossale è che le opere prime o seconde finiscono in effetti per essere troppe, molte volte di scarsa qualità, poche quelle invece che ai Festival ricevono più riconoscimenti e che in patria non trovano spazio (vedesi Le Meraviglie, La Leggenda di Kaspar Hauser, I corpi estranei).
Tuttavia la distribuzione italiana risulta in crescita da quattro anni: ci domandiamo però se ciò non sia dovuto proprio ai debutti e alle circolazioni indipendenti, ovvero grazie ai registi e produttori che propongono autonomamente le proprie opere, o alle piccole società di distribuzione che stanno nascendo per contrastare l’imbarazzante vuoto delle grandi sale (I Wonder Pictures, tanto per fare un nome). Intanto i cinema monosala, i cosiddetti “Cinema Paradiso”, stanno definitivamente scomparendo: nel 2006 erano 713, nel 2013 sono scesi a 530.
Ciò che è emerso dal Rapporto appare quindi quasi scontato nel periodo di crisi, economica e per certi versi creativa, che stiamo vivendo; quello che scontato non è, è che il cinema continua comunque a costituire una vera e propria industria, tra le culturali quella più solida, che produce una ricchezza annuale pari a 4,4 miliardi di euro; quella ricchezza che ha sempre aiutato l’Italia a risollevarsi, a partire dal boom dell’Hollywood sul Tevere, grazie a quell’insieme di maestranze che dal quel momento si sono create e che tuttora rappresentano delle professionalità uniche (ma di cui la formazione dovrebbe continuare ad occuparsi per aggiornarsi agli standard internazionali).
Sarebbe interessante a questo proposito leggere anche il Rapporto sulle Film Commission, contenuto nella versione completa, prossimamente disponibile sul sito web Cineconomy, per vedere quali sono stati nei primi anni di attività le azioni e gli effetti di queste realtà relativamente recenti, che sembra abbiano funzionato solo in certe regioni (Apulia Film Commission, Piemonte, Toscana) mentre in altre si ritrovano ancora ad arrancare, se non ad ostacolare lo giusto sviluppo di un’ industria cinematografica locale.
Trovando il lato positivo, l’impegno per migliorare non manca; e in questo il Rapporto Annuale è uno strumento indispensabile.