Il Messico dell’energia apre al capitale privato
Petrolio e gas non saranno più monopolio dello Stato. La riforma è criticata soprattutto nella sinistra parlamentare: PRD ed FO promettono referendum per ribaltarla
di Sara Gullace
Con l’approvazione della legge sulla riforma energetica il Patto per il Messico è sancito. Il presidente Peña Nieto infiocchetta, così, il pacchetto di riforme strutturali messo in piedi nel 2012 e che ha rivisitato lo scheletro del Messico: infrastrutture, educazione, finanza, fisco e sistema elettorale. Ridefinire la gestione del patrimonio energetico in termini di approvvigionamento, fornitura e servizio, è l’ultima delle mosse pianificate per rilanciare un’economia da troppo tempo statica.
Si tratterebbe peraltro di un taglio netto con il passato: il Patto per il Messico rompe il monopolio statale su gas e petrolio, che durava da 76 anni, per aprire alle imprese private – nazionali ed estere. Dal 1938, con Cardenas Presidente, gli idrocarburi sono stati gestiti a livello statale dal colosso Pemex, nazionalizzando le imprese statunitensi e inglesi. All’epoca si nazionalizzò per mettere fine allo sfruttamento delle risorse fisiche e umane che lavoravano per le compagnie straniere in suolo messicano. Fu un momento di patriottismo di portata storica.
Oggi la Pemex non è in ascesa: l’anno passato ha registrato una perdita di oltre 9 milioni di dollari, richiede investimenti sempre crescenti e anche così la produzione di petrolio scende – tanto è vero che il Messico arriva a importare il 30% del gas ed il 49% di benzina che consuma. Un dato allarmante, per essere una delle fonti energetiche maggiori del pianeta.
Ma cosa cambierà con la riforma? La legge si articola in nove punti chiave: nuove regole per i contratti, per i finanziamenti e per l’utilizzo dei giacimenti e delle fonti in territorio nazionale e di frontiera così come si istituiscono nuovi organismi predisposti e si ristruttura la stessa Pemex.
Le fonti energetiche ed elettriche rimarranno patrimonio dello Stato del Messico ma lo sfruttamento, per produzione o utilizzo, sarà concesso anche alla compagnia privata, estera o locale, che presenti il contratto più vantaggioso. Ogni concessione, di contratto o licenza, verrà assegnata con pubblica licitazione ed il Governo manterrà il diritto di revocarli qualora non siano mantenuti gli accordi o vengano violate le leggi messicane del settore, a cui tutte le compagnie dovranno attenersi.
Attenzione speciale a corruzione e fisco: il peso fiscale della Pemex, infatti, sarà alleggerito al 65% (mentre prima era al 79%) e, per prevenire conflitti di interesse e influenze, il Sindacato dei lavoratori petroliferi così come i membri del governo messicano non faranno più parte del consiglio di amministrazione. Altra misura anti corruzione sarà la trasparenza e pubblicità dei contratti e dei pagamenti.
Il Partito Rivoluzionario Istituzionale del Presidente Peña Nieto ha individuato nella privatizzazione la soluzione per la ripresa del settore energetico che dovrebbe beneficiare, di riflesso, gli altri settori. “Abbiamo preparato un pacchetto di riforme a livello istituzione e legale – ha dichiarato il Presidente – con il contributo di tutte le forze politiche. Con il tempo – ha continuato – le nuove leggi raggiungeranno piena maturità e ne vedremo gli effetti positivi”.
Dall’apertura alle compagnie straniere si vorrebbe attrarre nuovo capitale e risorse tecnologiche che, per ora, non sono alla portata della Pemex. Nei prossimi 4 anni, entro il 2018, secondo il governo la produzione di petrolio e del gas cresceranno rispettivamente del 20% e del 40% – con un’ascesa de prodotto interno lordo del 1% e 500 mila nuovi posti di lavoro.
La stima, però, sembra molto ottimistica ad un’opinione pubblica in questo momento
frustrata da disoccupazione e diseguaglianza sociale, sfiduciata da un potere d’acquisto sempre al ribasso. Dopo due anni di riforme, per la classe media non ci sono ancora stati miglioramenti percettibili: le nuove leggi sembrano soltanto unirsi ad una serie (infruttuosa) di altre. E in più, come visto, tocca un tema “sociale” importante come il petrolio.
Avallata dal Partito di Azione Nazionale e dal Partito Verde del Messico, la riforma energetica è stata approvata dal senato lo scorso 22 Luglio ha trovato, però, l’opposizione del Partito Rivoluzionario Democratico e del Partito del Lavoro. L’ala sinistra del parlamento parla di “tradimento degli interessi nazionali” e promette un referendum per il prossimo autunno: a poche ore dall’approvazione del Patto per il Messico, il PRI ha presentato 163 mila firme e ne anticipa oltre 400 mila nei prossimi mesi per arrivare al 2% di consenso che possa ribaltare l’approvazione della riforma.
La prima reazione della sinistra del PRD è stata di critica alla posizione di Peña Nieto, definita “anti nazionalista e mossa da interessi economici” nel momento in cui va a ridefinire le regole per la gestione di un elemento chiave per l’identità economica del paese come gli idrocarburi. “Il petrolio non ha solo unito la sinistra: dal 1938 unisce i messicani tutti”, ha spiegato il deputato Espinosa. Anche a sinistra, comunque, non si nega la necessità di apportare cambiamenti al settore ma indicano una via endogena: “Appoggiamo una riforma – ha continuato lo stesso Espinosa – ma non nell’ottica di privatizzare. La Pemex è oppressa da fiscalità e corruzione: è lì che si deve intervenire”.
Il declino di Cantarell è terminale, e non lascia scampo: hanno già usato tecniche di estrazione drastiche come l’iniezione di azoto. Non c’è tecnologia che possa fare granché dopo un simile, rabbioso sovra sfruttamento. Forse riusciranno a mettere meglio le cose sul fronte del metano.